Cinquantacinque anni fa il Concilio Vaticano II promulgava la Costituzione pastorale sulla Chiesa nel mondo contemporaneo. Indicando la via di un dialogo fecondo che chiede ancora di essere percorsa fino in fondo
Sono trascorsi esattamente cinquantacinque anni da quando, il 7 dicembre 1965, fu promulgato l’ultimo documento del Concilio Ecumenico Vaticano II: la Costituzione pastorale sulla Chiesa nel mondo contemporaneo Gaudium et Spes (GS). Dinanzi a una società in rapida trasformazione, la Chiesa sentì il bisogno di ridefinire il suo modo di porsi. Scelse la via del dialogo, suscitato da una profonda solidarietà con l’umanità: «Le gioie e le speranze, le tristezze e le angosce degli uomini d’oggi, dei poveri soprattutto e di tutti coloro che soffrono, sono pure le gioie e le speranze, le tristezze e le angosce dei discepoli di Cristo, e nulla vi è di genuinamente umano che non trovi eco nel loro cuore» (GS 1).
I segni dei tempi
Gaudium et Spes ci insegna che l’approccio della Chiesa alla realtà avviene attraverso l’attenzione ai segni dei tempi, ovvero il prendere in considerazione la condizione in cui si trova l’uomo contemporaneo, osservando, anche, i fenomeni e le nuove tendenze che caratterizzano il contesto socio-culturale in cui egli vive. In tal senso, «è dovere permanente della Chiesa di scrutare i segni dei tempi e di interpretarli alla luce del Vangelo, così che, in modo adatto a ciascuna generazione, possa rispondere ai perenni interrogativi degli uomini sul senso della vita presente e futura e sulle loro relazioni reciproche. Bisogna infatti conoscere e comprendere il mondo in cui viviamo, le sue attese, le sue aspirazioni e il suo carattere spesso drammatico» (GS 4). Solo così, infatti, l’annuncio del Vangelo avviene di forma realmente inserita nella storia dell’umanità.
La doppia cittadinanza
Secondo la Costituzione Pastorale del Vaticano II, c’è un altro aspetto da tener presente: la presa di coscienza da parte dei cristiani di essere cittadini della città terrena e della città futura. La doppia cittadinanza, lungi dall’essere un’opportunità di esilio, è un impegno ad armonizzare la fede professata con la vita quotidiana di uomini e donne che credono in Cristo e corroborano l’attività umana con la loro testimonianza di fede. È una grande illusione, quindi, assumere una visione dicotomica o, addirittura, creare «un’opposizione artificiale tra le attività professionali e sociali da una parte, e la vita religiosa dall’altra. Il cristiano che trascura i suoi impegni temporali, trascura i suoi doveri verso il prossimo, anzi verso Dio stesso, e mette in pericolo la propria salvezza eterna» (GS 43).
Dialogo fecondo
Infine, il dialogo fortemente desiderato da Gaudium et Spes, rispetta la peculiarità del confronto, ossia la reciprocità tra le parti. Infatti, se da un lato la Chiesa migliora la società con l’annuncio del Vangelo e la buona testimonianza dei cristiani, dall’altro «può essere arricchita, e lo è effettivamente, dallo sviluppo della vita sociale umana (…) perfino dall’opposizione di quanti la avversano o la perseguitano» (GS 44). È un dialogo, pertanto, a 360 gradi che, dopo poco più di mezzo secolo dalla promulgazione dell’ultimo documento del Concilio Vaticano II, forse, non è stato pienamente compreso ed è ancora agli inizi.