EDITORIALE
I giovani hanno già lasciato le nostre strutture, quelle che hanno dato la fede alla generazione dei 40-50enni di oggi e quelle precedenti. Loro sono già oltre, stanno percorrendo altre strade. Ci si pone un’alternativa: lasciar perdere le strutture o lasciar perdere i nostri giovani?
Un anno fa tornavo in Italia per dirigere il Centro Pime di Milano dopo 18 anni in Asia. Lo spaesamento era evidente perché ho trovato un Paese molto diverso. Ma l’elemento che più mi ha spiazzato è stato il mondo giovanile che, ai miei occhi, aveva subito una rivoluzione più che una trasformazione. In particolare, il rapporto con la Chiesa è cambiato alla radice: non funziona più la trasmissione della fede per tradizione, i giovani cercano qualcosa di più profondo e vero.
Qualche giorno fa chiedevo a un universitario: «Cosa vorresti dalla Chiesa oggi?». Risposta: «Vorrei comprensione anziché giudizio; vorrei un cammino insieme, in cui mi si spieghi dove e perché sbaglio e non regole universali da seguire per chi vuole andare in paradiso».
Io riassumerei così queste parole: voglio una Chiesa vera! Dove per vera si intende una Chiesa che sa amare davvero i suoi giovani; che li guarda negli occhi come Gesù ha guardato il giovane ricco nelle bellissime parole «fissatolo, lo amò»; che li lascia liberi di andare e sperimentare così come Gesù ha lasciato libero quel giovane; una Chiesa che accoglie sempre senza giudicare come ha fatto il padre del figliol prodigo.
Ma per far ciò la Chiesa ha bisogno di uomini e donne veri sino in fondo, capaci di guardarsi dentro con verità e di dire questa verità a quegli occhi che interrogano nel profondo. Non possiamo più raccontare la “storiella” della fede ai nostri figli. O la viviamo noi con verità oppure non trasmetteremo nulla.
La scorsa estate il Pime ha mandato in missione un centinaio di giovani dopo un anno di preparazione, con un weekend al mese dove si condivide tutto: spazio, tempo, parola di Dio e meditazioni, scambi dell’anima. E questo scambio intenso continua anche in missione: cultura, lingua, cibo, volti sconosciuti che presto entrano nella loro pelle. E poi la scoperta spesso di una Chiesa diversa, viva e piena di entusiasmo. Comunità piccole o grandi, quasi sempre disperse in un contesto religioso diverso, dove il cristianesimo è una goccia in mezzo all’oceano. Una goccia piccola ma vera, che fa sentire che l’incontro con Gesù risorto ha cambiato davvero le vite di quei cristiani; lo sguardo di Cristo li ha “fissati e amati” e quindi cambiati.
L’esperienza di padre Andrea Lembo a Tokyo – raccontata nel Primo Piano – ci mostra come sia necessario incontrare l’uomo al di là delle strutture e delle modalità consolidate negli anni. I giovani hanno già lasciato le nostre strutture, quelle che hanno dato la fede alla generazione dei 40-50enni di oggi e quelle precedenti. Loro sono già oltre, stanno percorrendo altre strade. Ci si pone un’alternativa: lasciar perdere le strutture o lasciar perdere i nostri giovani?
Il Sinodo sui giovani, in questo mese di ottobre, è sicuramente un grande sforzo di ascolto e dialogo. Ne usciranno dichiarazioni e documenti. Ma serviranno a poco se non sapremo fare nostro lo sguardo di Gesù davanti al giovane ricco: «Fissatolo, lo amò».