IL COMMENTO:
Va bene ribadire la dottrina. Va bene anche riconoscere con gratitudine ed incoraggiare le coppie e le famiglie che si impegnano in senso genuinamente cristiano. Ma l’umiltà non guasta mai. Perché anche le costruzioni più belle vanno sempre curate o a volte si rompono. Ma soprattutto perché la Chiesa è missionaria.
da Roma
La città si sveglia sotto un cielo plumbeo, che ne accentua la pacata rassegnazione per le recenti dolorose vicende politiche. E un po’ di anarchia la si vede. Nessuno timbra il biglietto sull’autobus che scende da Via Gregorio VII eccetto una giovane famiglia tedesca. In un inglese stentato mi chiedono la fermata più vicina al Vaticano. In piazza Cavalleggeri poi mi ringraziano con larghi sorrisi. Ma salgono su un altro mezzo. Non mi seguono oltre il colonnato dove papa Francesco sta dando inizio all’udienza del mercoledì con un nuovo atto di umiltà e di realismo: “Vi chiedo perdono degli scandali successi in questi giorni a Roma e in Vaticano”.
Lasciamo stare i fatti e le persone. Chi è senza peccato, personale o comunitario, e si sente garantito per il resto della vita scagli la prima pietra. Ma chi scherza col fuoco in questi giorni delicati del Sinodo sulla famiglia, dando fiato a vere o presunte contrapposizioni ideologiche o di potere e distogliendo l’attenzione dalle preoccupazioni reali, fa male alle persone. Le famiglie sono composte da persone. Sia quelle unite, virtuose, moralmente irreprensibili e fortunate. Sia quelle meno capaci di dirittura morale o perseguitate dalla sorte (fragilità personali, lutti, circostanze avverse). Più di quanto possa sembrare, il Sinodo in corso si trova di fronte ad un’impresa probabilmente superiore alle proprie forze e alle scadenze che si è dato. E questo almeno a tre livelli.
Pastorale. Cioè la difficoltà e la complessità di accompagnare la formazione e lo sviluppo di una famiglia cristiana in un tempo in cui tutto sembra remare contro: la scarsità degli operatori pastorali, la cultura del provvisorio, tradizioni alternative in molte parti del mondo, i modelli mediatici di famiglia molto diversi da quelli cristiani, la mobilità umana, la priorità delle emozioni…
Antropologico. Si afferma e si ribadisce il modello genuino di famiglia e di matrimonio fondato sulle proprietà essenziali unitiva e procreativa ed orientato al bene dei coniugi e all’educazione della prole. Rimane la sfida di una componente dell’umanità privata, senza propria colpa, della possibilità e delle condizioni essenziali per realizzare tale vocazione. Una volta detto un “no” anche molto ben motivato (per esempio ai matrimoni omossessuali) si rimane di fronte ad una sofferenza che, per chi non può o non vuole riconciliarsi con essa, durerà tutta la vita. Il compito di accompagnamento e di conforto della Chiesa non è alla fine, ma all’inizio.
Teologico. Il Sinodo intuisce che la validità del matrimonio religioso non è frequente, né scontata. Non è certo la forma canonica (dichiarazione del consenso di fronte ad un ministro della Chiesa) di solito a fare difetto. Ma spesso lo sono gli impedimenti legati alla fragilità della persona, la scarsa o nulla consapevolezza dell’atto posto con la dichiarazione del consenso, la precarietà delle circostanze. Più ancora: quale livello di consapevolezza e realtà di fede sostiene molti matrimoni celebrati in chiesa? In molto casi il vincolo matrimoniale è nullo. Oppure la seconda unione è decisamente più genuina, stabile e matura, ma è compromessa dalla prima ancora formalmente in vigore. Solo la Chiesa può dirimere il conflitto. Ma quanti tribunali ecclesiastici servirebbero? In molte diocesi non esiste nulla o non è assolutamente funzionale.
Va bene quindi ribadire la dottrina. Va bene anche riconoscere con gratitudine ed incoraggiare le coppie e le famiglie che si impegnano in senso genuinamente cristiano. Ma l’umiltà non guasta mai. Anzitutto perché anche le costruzioni più belle vanno sempre curate o a volte si rompono. E poi perché la Chiesa è missionaria. Non contempla se stessa, ma fa un passo verso gli altri. Accetta ormai la diversità e la complessità come sfida pastorale ordinaria.