La marcia promossa da Pax Christi nella notte di Capodanno torna alla Casa natale di Papa Giovanni da dove partì nel 1968. Per camminare coi migranti e denunciare il commercio delle armi, come spiega in questo articolo don Renato Sacco, coordinatore nazionale di Pax Christi
Era il 1° gennaio 1968, esattamente cinquant’anni fa, quando Paolo VI propose al mondo la Giornata mondiale della pace. Ogni primo giorno dell’anno, era il volere di Papa Montini, sia un giorno dedicato alla pace per un impegno che deve durare tutto l’anno. Come una luce che illumina e indica il cammino. E proprio per raccogliere questa proposta di Papa Montini i giovani di Pax Christi, guidati dall’allora vescovo presidente mons. Luigi Bettazzi, organizzarono la prima marcia (allora si chiamava route) la sera del 31 dicembre 1968 a Sotto il Monte, la città di Papa Giovanni, dove i missionari del Pime per suo espresso volere ne custodiscono la Casa natale. Angelo Roncalli era morto da pochi anni, ma era ancora molto vivo il suo ricordo come il Papa del Concilio, dell’enciclica Pacem in Terris (1963). Erano gli anni dei blocchi contrapposti tra Urss e Usa. C’era stata la crisi dei missili di Cuba e il ruolo di Giovanni XXIII fu determinante. Ritrovarsi a Sotto il Monte voleva dire rilanciare un impegno concreto per la pace, per il disarmo.
«Dalla casa di Giovanni XXIII a Sotto il Monte – così si legge nel volantino di invito alla marcia preparato da Pax Christi – una lunga route di preghiera, silenzio e fatica; la gioia di sentirsi uniti a tutti nella celebrazione della giornata mondiale della pace e nella prima Messa dell’anno nuovo». «Iniziammo proprio nel cortile di casa della famiglia Roncalli – scrive mons. Bettazzi nell’editoriale di Mosaico di Pace, la rivista promossa da Pax Christi, sul numero in distribuzione in questi giorni – con un discorso di padre David Maria Turoldo, il quale, rifacendosi al titolo del nostro movimento, richiamò che non c’è una “pace romana”, come si diceva duemila anni fa, o una “pace americana” come si diceva in quel tempo, ma la vera “pace” è quella “di Gesù Cristo”. In questi cinquant’anni abbiamo girato tutta l’Italia, dando come titolo alla Marcia quello indicato dal Papa per la Giornata della pace del 1° gennaio…».
Per questo la notte del 31 dicembre 2017, la cinquantesima Marcia per la pace fa di nuovo tappa a Sotto il Monte, che oggi porta nel nome del Comune anche quello di Giovanni XXIII. Ci andiamo proprio per ritornare alle radici, alle motivazioni iniziali, di preghiera e di impegno concreto per la pace. Negli anni la marcia ha toccato varie parti d’Italia: da Peschiera – dove erano incarcerati gli obiettori di coscienza al servizio militare, prima della legge del 1972 – a Molfetta, la città di don Tonino Bello, alla fine del 1992, di ritorno dalla marcia dei 500 a Sarajevo, città assediata da mesi. Don Tonino ci ospitò nella sua diocesi con la passione, la forza e la carica spirituale e umana che possedeva, pur essendo malato di tumore. Morirà poi il 20 aprile 1993. Da qualche decennio la Marcia è promossa da Cei, Caritas, Azione Cattolica, Pax Christi e dalla diocesi ospitante, che quest’anno è Bergamo.
È cambiato il contesto ecclesiale e anche geopolitico, possiamo dire che è cambiato il mondo. Ma il senso della marcia resta più che mai attuale. Un modo diverso e alternativo di vivere la notte di Capodanno che, alla faccia della crisi, continua a essere un momento per molti di evasione e anche di grande spreco. La sera del 31 a Sotto il Monte è una sera di digiuno, e l’equivalente non speso verrà destinato alla Caritas di Bergamo. Sono state previste alcune tappe lungo il percorso (che si svolgerà comunque sempre nel territorio di Sotto il Monte, ma non raggiungerà Bergamo, come invece avvenne per la prima Marcia nel 1968) per pregare e anche riflettere, partendo proprio dal messaggio di Papa Francesco per la Giornata mondiale della pace del 1° gennaio 2018: “Migranti e rifugiati: uomini e donne in cerca di pace”.
Vi saranno testimonianze di migranti e di chi lavora con serietà accanto a loro. E non è difficile rendersi conto di come la scelta del Papa abbia toccato un nervo scoperto. È sotto gli occhi di tutti il clima di crescente razzismo, paura e violenza. In Italia, ma non solo. Viviamo in un mondo che vede sempre più crescere muri di cemento e filo spinato, ma anche culturali. E non ne sono immuni neanche le comunità cristiane, parrocchie, gruppi e movimenti. Lo sa bene anche Papa Francesco, che nel suo messaggio, tra l’altro, scrive: «In molti Paesi di destinazione si è largamente diffusa una retorica che enfatizza i rischi per la sicurezza nazionale o l’onere dell’accoglienza dei nuovi arrivati, disprezzando così la dignità umana che si deve riconoscere a tutti, in quanto figli e figlie di Dio. Quanti fomentano la paura nei confronti dei migranti, magari a fini politici, anziché costruire la pace, seminano violenza, discriminazione razziale e xenofobia, che sono fonte di grande preoccupazione per tutti coloro che hanno a cuore la tutela di ogni essere umano. Tutti gli elementi di cui dispone la comunità internazionale indicano che le migrazioni globali continueranno a segnare il nostro futuro. Alcuni le considerano una minaccia. Io, invece, vi invito a guardarle con uno sguardo carico di fiducia, come opportunità per costruire un futuro di pace» (Messaggio per la Giornata della pace, 1.1.2018).
Papa Francesco continuamente richiama alle nostre coscienze il dramma dei rifugiati e la tragedia della guerra: «Di fronte alle tragedie che “marcano a fuoco” la vita di tanti migranti e rifugiati – diceva Papa Francesco nel febbraio dello scorso anno -, di fronte alle guerre, persecuzioni, abusi, violenze, morte, non possono che sgorgare spontanei sentimenti di empatia e compassione».
«Dov’è tuo fratello?» resta la domanda decisiva che tante volte Francesco ci ha consegnato e che ha gridato sia al sacrario di Redipuglia, per denunciare le inutili stragi di ieri e di oggi, sia a Lampedusa, per ricordare alla Chiesa che «questa domanda, che Dio pone all’uomo fin dalle origini, ci coinvolge, oggi specialmente a riguardo dei fratelli e delle sorelle che migrano. Non è una domanda rivolta ad altri, è una domanda rivolta a me, a te, a ciascuno di noi».
Papa Francesco ci offre ancora una volta l’occasione giusta per coniugare pace e migrazioni, mettendo al centro gli orientamenti che sempre evidenzia: «Accogliere, proteggere, promuovere e integrare».
Per questo durante la marcia saranno denunciate le tante guerre di oggi e verrà rilanciato l’impegno per un disarmo nucleare e integrale. Proprio ai primi di novembre si è svolta in Vaticano la conferenza, a cui abbiamo partecipato anche noi di Pax Christi, “Prospettive per un mondo libero dalle armi nucleari e per un disarmo integrale”, promossa dal Dicastero vaticano per il servizio dello sviluppo umano integrale. Questo incontro ha ribadito con fermezza un «no» alle armi nucleari e ha avuto un grosso stimolo proprio da Papa Francesco che, ricevendo in udienza i circa 350 partecipanti, ha detto: «Anche considerando il rischio di una detonazione accidentale di tali armi per un errore di qualsiasi genere, è da condannare con fermezza la minaccia del loro uso, nonché il loro stesso possesso, proprio perché la loro esistenza è funzionale a una logica di paura che non riguarda solo le parti in conflitto, ma l’intero genere umano».
Sappiamo bene come il tema della pace, declinato come «no» alla guerra, alla produzione e vendita di armi, sia un punto fisso del magistero di Francesco. La sera del 31 a Sotto il Monte ricorderemo che l’Italia non ha aderito al Trattato per la messa al bando delle armi nucleari firmato lo scorso 7 luglio all’Onu. E rinnoveremo la richiesta, con la campagna in atto “Italia ripensaci”. Denunciando che sul territorio italiano a Ghedi e ad Aviano sono presenti decine di testate nucleari ben più potenti di quelle di Hiroshima. Ascolteremo anche la testimonianza del comitato di riconversione della RWM, che in Sardegna, a Domusnovas, produce bombe che poi vengono vendute all’Arabia Saudita che attacca lo Yemen. E questa è la conferma di come l’export di guerra Made in Italy vada a gonfie vele: nel 2016 il fatturato è aumentato del 197%. Per non parlare degli investimenti negli F35, dal costo di 130 milioni di euro l’uno. Nel 2018 le spese militari in Italia saranno di circa 25 miliardi.
Sulle orme di Papa Giovanni XXIII si darà voce a chi non ha voce e si denunceranno le strutture di peccato, i grandi interessi legati alla produzione delle armi, ricordando la sua famosa definizione della guerra, contenuta nella Pacem in Terris: «Alienum est a ratione» (in parole povere, è roba da pazzi). «La pace di Cristo non è venuta a renderci quieti – scriveva l’Eco di Bergamo, riportando l’intervento di mons. Bettazzi alla prima marcia di cinquant’anni fa – è una spada che taglia il nostro egoismo perché noi rimettiamo Dio e i nostri fratelli al primo posto e ci poniamo al loro servizio». Come ogni anno la Marcia è stata preceduta dal Convegno di Pax Christi (30-31 dicembre) intitolato: “Alienum est a ratione. È pura follia pensare che nell’era atomica la guerra possa essere utilizzata come strumento di giustizia” (Papa Giovanni XXIII, Pacem in Terris, n. 67). «La pace deve essere proclamata e ricercata non solo a parole, ma con i nostri atti di ogni giorno. Cristo nostra pace – concludeva mons. Bettazzi – è il miglior augurio che possiamo farci nel nuovo anno». E anche quest’anno, a conferma del suo impegno continuo, coraggioso e profetico, mons. Bettazzi, a Sotto il Monte, dopo cinquant’anni, ci rinnova questi auguri e ci chiede un impegno concreto per la pace.