AL DI LA’ DEL MEKONG
«La via della grazia»

«La via della grazia»

Perché Dio è così, uno e trino? Perché? Non mi sarei avventurato in acque così profonde se qualche giorno fa il mio padrone di casa, non cristiano, osservandomi appendere una riproduzione della Trinità di Rublev, non mi avesse infastidito con alcune domande

«The nuns taught us that no one who loves the way of grace ever comes to a bad end».1

Scrivo perché la scrittura come atto del pensiero mi sfida a mettere nero su bianco quel che non posso tacere, il mistero di Dio: la radice santa della Sua Carità, della Sua Grazia, il suo intimo essere Padre, Figlio, Spirito Santo. Perché Dio è così, uno e trino? Perché?

Non mi sarei avventurato in acque così profonde se qualche giorno fa il mio padrone di casa, non cristiano, osservandomi appendere una riproduzione della Trinità di Rublev, non mi avesse infastidito con alcune domande. All’inizio era preoccupato che il chiodo non gli rovinasse la parete di legno, poi si è lasciato incuriosire dall’immagine e ha iniziato a chiedermi chi dei tre poteva essere Gesù e perché dovevano essere tre, “non ne bastava uno?”. Lasciandosi attrarre dai tre angeli, e non essendo in grado di articolare meglio le domande, mi chiedeva chi dei tre veniva prima, chi dopo, chi sopra, chi sotto. Alla fine, francamente, non ho saputo rispondere, non ero pronto! Mi scoraggiava il fatto che non fosse cristiano e non avesse alcuna premessa alla fede nel Dio uno e trino. D’altra parte mi chiedo chi, dopo anni di catechesi tra le mura di una qualsiasi parrocchia italiana, saprebbe rispondere a simili interrogativi, tanto spontanei quanto drammatici. Di fatto quella fila di domande ha funzionato in me come provocazione alla lezione che avrei tenuto il giorno dopo. L’indomani infatti ho insegnato per quattro ore, belle e intense, sul mistero della Trinità. Mi ascoltavano alcune novizie e due suore, tutte cambogiane, appartenenti ad una congregazione diocesana. Come nel film di Terence Malick, saranno loro a insegnare che chi ama la via della grazia non farà mai una brutta fine. Già, la via della Grazia…

Sempre alla ricerca del senso della missione, noi missionari spesso commettiamo l’errore di cercarlo “fuori”. Nei poveri, nelle strutture precarie dei Paesi in via di sviluppo, nella povertà spirituale dei Paesi ricchi, nelle varie periferie della storia che la Chiesa ha giustamente frequentato e sempre frequenterà. A questo si aggiungono non poche anime belle e generose che con attitudini moderate e dialogiche provano a sognare una possibile amicizia tra i popoli e le culture. Tutto vero, opportuno eppure allo stesso tempo opinabile. Nondimeno, sono sempre più convinto che le ragioni della missione non vadano cercate solo “fuori”, nelle opinioni dei teologi e nell’esperienza dei missionari; pur belle e intense, sono sempre esperienze di qualcuno e non possono valere subito per tutti. Le ragioni vanno quindi cercate “dentro”, attingendo a quei dogmi che custodiscono la fede «com’è e come deve essere juxta sua propria principia».2

Troppo spesso, infatti, in balia delle teologie degli uomini, certamente colti, e delle mode culturali, politicamente corrette o scorrete, la fede rischia di smarrire il suo principio e di omologarsi al regime di turno. Mi chiedo allora se il cristianesimo non debba attingere ordinariamente ai principali dogmi della fede, l’unità e trinità di Dio e la passione morte e risurrezione di Gesù di Nazareth, per dare ragione di sé e della missione che promuove. Solo questo potrebbe affrancarci dalle opinioni, consentendoci peraltro «un allargamento del nostro concetto di ragione e dell’uso di essa».3 Sono d’accordo con Ernesto Galli della Loggia che sulle pagine del Corriere della Sera a proposito della scristianizzazione scriveva: «Contrariamente a quanto immaginavano gli illuministi (quelli francesi, non quelli anglosassoni), la scristianizzazione non ha eliminato la “superstizione”, non ha reso gli europei “più razionali”. Ha invece aperto la strada a varie forme di regressione culturale».

Ora, ciò che muove i missionari non è più una preoccupazione apologetica, difendere Dio in mezzo ad un mondo di atei o di infedeli, quanto il desiderio di riscattare l’uomo da un possibile depotenziamento dei sensi e dell’immaginazione e da quella pericolosa «regressione culturale» che ne deriva. Se spesso, anzi sempre, i dogmi sono stati liquidati come anacronismi lesivi della libertà e della ragione, vorremmo per un attimo abbracciare la posizione di Flannery O’Connor che suggerisce di interpretare i dogmi in modo corrispondente alle esigenze dell’umanesimo. In risposta ai detrattori, la O’Connor puntualizza che «al contrario, il dogma è uno strumento per penetrare la realtà. Il dogma cristiano è forse la sola cosa rimasta al mondo che di sicuro protegga e rispetti il mistero».4 Di Dio e dell’uomo.

Tornando alla lezione di cui sopra, dovevo spiegare e giustificare la vita di Gesù, il Verbo di Dio, prima del suo natale tra gli uomini. E al contempo dovevo introdurre chi mi ascoltava al mistero di Dio, a quell’ordo originis che è l’unità nella trinità di Dio-Amore. Ho subito detto che l’amore che definisce il Dio di Gesù Cristo, è anzitutto l’amore del Padre per il Figlio. Amore in atto, puro, fondamento prima dei secoli, fuori del tempo, nell’eternità di Dio: amore del Padre che genera il Figlio in un effluvio di vita e di grazia, senza ombre. Il Padre dona al Figlio tutta la sua vita, la sua stessa sostanza, «gliela dona eternamente, senza un prima né un dopo, senza movimento né mutamento di alcun genere»,5 realizzando quell’«eterna produzione, senza successione, di una Persona divina da parte di un’altra in un’atto di incommensurabile forza interiore».6 La teologia chiama tale evento interno alla Trinità «generazione eterna del Verbo», atto purissimo di Dio Padre che genera continuamente il Figlio attraverso un puro effluvio di vita dall’eternità e per tutta l’eternità. La generazione del Figlio è «un’azione vitale» che accade e permane in Dio, anzi, è Dio stesso, in atto. Il Figlio, infatti, sta sempre procedendo dal Padre, sta sempre ricevendo il suo essere dal Padre, senza fine, senza inizio. Dio sempre generante, sempre amante, che nello Spirito, il terzo della Trinità procedente dal Padre e dal Figlio, può discendere fino a tutti noi per farci figli come il Figlio.

In quelle ore di lezione non ho avuto il tempo di dire altro. Mentre parlavo in cambogiano di queste cose, le suore mi ascoltavano, apparentemente convinte, certamente stralunate dall’ipotesi che esista un amore così, un perdurante atto puro di Dio Padre che genera il Figlio senza pregiudicare la loro qualità divina, e l’unità nella Trinità delle persone. Anzi l’amore viene spiegato e avvalorato proprio dall’unità plurale delle tre persone divine, e nel perfetto scambio tra di loro, senza ombre. La via della Grazia, che nasce da questo atto puro di Dio in Dio, si distende nello Spirito fino a dare vita a tutta la creazione. Qui non c’è spazio per alcun fondamentalismo o nichilismo di sorta. Un Dio così è indeducibile, inesistente nelle altre tradizioni religiose. E non per questo vuole imporsi. Perché se Dio è amore, è Padre e Figlio e Spirito Santo, allora non attende di imporsi bensì di amare. Diversamente, l’amore umano quando è solo umano e dimentica la sua origine, può trasformarsi in una «trappola».

É vero, tornando a Terence Malick, che «there are two ways through life: the way of nature and the way of grace. You have to choose which one you’ll follow. Grace doesn’t try to please itself. Accepts being slighted, forgotten, disliked. Accepts insults and injuries. Nature only wants to please itself. Get others to please it too. Likes to lord it over them. To have its own way. It finds reasons to be unhappy when the entire world is shining around it. And love is smiling through all things. The nuns taught us that no one who loves the way of grace ever comes to a bad end». Già, la via della Grazia… Nella terra degli uomini, in questi tempi, «l’amore è un trappola». Eppure – canta Jovanotti – «qualche volta ti libera e ti senti una favola / e ti sembra che tutta la vita non è solamente retorica ma sostanza purissima che ti nutre le cellule / e ti fa venir voglia di vivere fino all’ultimo attimo».7

Mi chiedo ancora se l’ordo originis di quella «sostanza purissima» ha a che fare con il Dio di Gesù Cristo. In tal caso la missione ha in Lui la sua ragion d’essere e un giorno – lo sento di già– quelle suore potranno ancora insegnare che «no one who loves the way of grace ever comes to a bad end».

1 Dal film «The Tree of Life», di Terrence Malick (2011).

2 P. SEQUERI, L’idea della fede, Glossa, Milano 2002, XII.

3 BENEDETTO XVI, Fede, ragione e università. Ricordi e riflessioni. Aula Magna dell’Università di Regensburg, 12 settembre 2006.

4 F. O’CONNOR, Il volto incompiuto. Saggi e lettere sul mestiere di scrivere, Milano 2011, 79: «Dogma is the guardian of mystery», nell’originale in lingua inglese.

5L. F. MATEO-SECO – G. MASPERO, Il mistero di Dio uno e trino, Roma 2014, 245–246.

6 B. DE MARGERIE, La Trinité chrétienne dans l’histoire, Parigi 1975, 205.

7L. CHERUBINI (Jovanotti), Nella terra degli uomini