Suor Leonella Sgorbati, uccisa nel 2006 a Mogadiscio sarà beata. Ma non morì da sola. Nel tentativo di difenderla morì un musulmano, padre di quattro figli.
«La morte di una italiana e la morte di un somalo. La morte di una europea, la morte di un africano. Una bianca, un nero. La morte di una cristiana e la morte di un musulmano. La morte di una donna e la morte di un uomo. Questo ci dice che è possibile vivere insieme, se insieme è anche possibile morire. Vivere insieme nella speranza di un mondo migliore».
Le notizie significative spesso si nascondono nei dettagli. È di ieri la notizia che suor Leonella Sgorbati, assassinata a Mogadiscio nel 2006 in un attentato di stampo fondamentalista, sarà beata. Papa Francesco ha firmato il decreto che ne riconosce il martirio.
Missionaria della Consolata prima in Kenya poi a Mogadiscio, nel 2006 era una delle ultime quattro religiose rimaste in tutta la Somalia. Fu uccisa il 17 settembre, a 65 anni, da due uomini armati, che la colpirono alle spalle mentre stava facendo rientro dalla vicina scuola all’ospedale per l’infanzia dove lavorava, il Sos Kinderhof, nella periferia di Mogadiscio.
Una consorella, Marzia Ferra, raccontò così i suoi ultimi istanti: «Era ancora viva, sudava freddo, ci siamo prese per mano, ci siamo guardate e prima di spegnersi come una candelina, per tre volte mi ha detto: “perdono, perdono, perdono”».
Ma suor Leonella non morì da sola: la guardia somala che accompagnava la religiosa, Mohammad Mahmmud, padre di quattro bambini, musulmano, morì anch’egli nel tentativo di difenderla. A ricordarlo, durante le esequie celebrate a Nairobi fu monsignor Giorgio Bertin, vescovo a Gibuti e amministratore apostolico di Mogadiscio, che usò le parole che abbiamo citato sopra: «La morte di una italiana e la morte di un somalo. La morte di una europea, la morte di un africano. Una bianca, un nero. La morte di una cristiana e la morte di un musulmano. La morte di una donna e la morte di un uomo. Questo ci dice che è possibile vivere insieme, se insieme è anche possibile morire. Vivere insieme nella speranza di un mondo migliore».
Il martirio di suor Leonella e il sacrificio di Mohammad hanno, entrambi, una parola da dire a un mondo diviso, preso nella trappola della contrapposizione e dell’intolleranza.
Con la sua vita e la sua morte suor Leonella ha indicato una via, quella del perdono e dell’amore.
Tempo prima aveva scritto così:
Dobbiamo renderci disponibili al processo dell’incarnazione del Figlio in noi per poter essere la Consolazione del Padre. Significa accogliere che il Figlio sia libero in ciascuna di noi, in me,
libero di perdonare attraverso la mia persona a chi mi reca offesa,
libero di spezzare il pane della bontà, della comprensione nella mia comunità,
libero di fare in me il cammino che il Padre ha fatto fare a Lui, con le scelte che il Padre indica.
Libero di farmi percorrere il cammino della pazienza, della mansuetudine, dell’umiltà che passa attraverso l’umiliazione…
Libero di poter dire attraverso di me: Lo Spirito del Signore è su di me… mi ha consacrato, mi manda a portare la Buona notizia ai poveri, la libertà ai prigionieri… ad annunciare l’anno della Consolazione… a ricostruire le antiche rovine…
Libero di amare attraverso di me con l’Amore più grande, l’Amore che va fino alla fine, che è più forte dell’odio e dell’inferno… nella verità, nella pratica di ogni giorno e di ogni momento».