AL DI LA’ DEL MEKONG
Martiri non kamikaze

Martiri non kamikaze

I volti e la specificità della testimonianza cristiana nelle relazioni che hanno scandito in questi giorni il Convegno del Seminario teologico di Monza

«Il male ferma il tempo, lo congela», ha detto Mons. Paolo Martinelli, vicario episcopale della Chiesa di Milano, affrontando il tema della testimonianza cristiana presso il Seminario Teologico del Pime di Monza nel corso dell’annuale Convegno dedicato alle ragioni della Speranza. E se il male ha avuto una delle sue massime espressioni ad Auschwitz – ha continuato il presule – proprio in quel luogo che sembra aver condannato la storia degli uomini al male radicale, la testimonianza di san Massimiliano Kolbe, nel suo morire al posto di, restituisce al bene la sua speranza. Massimiliano si offre per intero, “testimone senza residui” della carità di Cristo, affinché altri, in quel caso un padre di famiglia altrimenti condannato alla morte, possano vivere.

Già l’altro giorno, Salvatore Natoli, aprendo il Convegno, aveva messo in guardia l’uditorio contro un cristianesimo ridotto a “retorica della carità” e lo aveva esortato a rintracciare il nucleo incandescente della religione di Cristo. È infatti tale retorica che riduce Cristo ad essere inteso sempre più come “compagnia degli uomini” e sempre meno come “uomo pari a Dio”, che sta “alla destra del Padre”. Per Natoli, che più volte si è onestamente dichiarato non credente, rimane invece insanabile quel “largo fossato” di matrice illuminista che separa il mondo da Dio e l’immanenza dalla trascendenza. Quest’ultima, ridotta dalla critica kantiana nei limiti della sola ragione, perché non può darsi alcuna rivelazione di Dio se non viene prima legittimata dalla ragione, scompare. Rimane l’uomo e l’etica del finito.

A questa obiezione hanno risposto i relatori che si sono succeduti, primo fra tutti don Roberto Vignolo, che ha ribadito l’inaudita potenza del kerigma cristiano grazie al quale “la trascendenza taglia la storia”, allarga la ragione aprendola alla possibilità che san Massimiliano Kolbe ha incarnato in pienezza. Il suo martirio, imponendosi come unica forma di testimonianza adeguata alla rivelazione di Cristo, restituisce al Cristianesimo la sua dimensione trascendente e autentica.

Se l’incarnazione, morte e risurrezione di Cristo sono il cuore del kerigma, custodito dal dogma di fede, il martire ne manifesta la forza dirompente. In modo paradossale: perché il martire non vince mai, ma consente sempre ad altri di vivere. In questo mistero si iscrive anche la differenza fondamentale tra i kamikaze fondamentalisti che, loro malgrado e spesso imberbi, si fanno esplodere nei mercati affollati del mondo, e il martire cristiano il cui sacrificio non toglie vita e speranza a nessuno, ma le genera. Sono differenze importanti per non ridurre qualsiasi esperienza religiosa a nemica della ragione e della libertà. La fede cristiana esalta entrambi, riconcilia l’immanenza e la trascendenza, la ragione e la fede, la libertà e la verità, l’amore e Dio.

Natoli ha più volte ribadito che l’amore di Gesù può essere predicato e vissuto anche senza confessarlo come il Cristo, Figlio di Dio, ma si è arreso di fronte alla notizia della Risurrezione. Appartiene ai “mirabilia Dei” che l’uomo non può darsi perché si tratta di un atto di Dio che per la ragione rimane inattingibile. E nondimeno, il “credente non è cretino” – ha ribadito – perché tutti si portano dentro l’attesa di un riscatto, di una notitia Dei che consenta alla vita di ogni uomo, all’intero suo passato, spesso di dolore e di ingiustizia, di ritrovare un senso, una terra e un cielo nuovi. A questo livello qualsiasi affermazione umana è chiacchiera. La notitia Dei è speranza, ma solo per chi ha fede.

A tal punto il filosofo ha fatto onestamente un passo indietro lasciando la parola alla Parola. Don Roberto Vignolo, con la Scrittura tra le mani, ha aiutato i partecipanti non ad interpretare la Bibbia, ma a lasciarsi interpretare da essa e citando Elias Canetti ha detto: “anche se tu non leggi la Bibbia, sei nella Bibbia”. Il destino di ogni uomo è iscritto nella rivelazione di Dio. Questo ha permesso a padre Carlo Torriani, per anni missionario in India, di riscattare migliaia di lebbrosi dall’esclusione sociale per iscriverne il nome e il destino nella storia del “Dio con noi”. Non a caso, testimoniando al Convegno, ha raccontato di aver fondato una comunità per la cura dei malati di lebbra che, pur situata alla periferia di Mumbai, si chiama significativamente Swarga Dwar, “Porta del Cielo”.

Il testimone cristiano, tanto più se martire, non danneggia la verità, non impone alcuna dogmatica, ma riconcilia la libertà con la verità, il desiderio con la fede, il destino di ogni uomo con il destino di Dio. Davide Rondoni ha infatti precisato che il testimone autentico non è colui che ha competenza di Gesù, ma colui che ne parla come se lo avesse di fronte e che è convinto non per via di un sapere, ma per via di un legame che lo fa vivere. Padre Giorgio Licini intervenuto come testimone dell’esperienza vissuta come missionario nelle Filippine e in Papua Nuova Guinea, ha invece suggerito di passare da una “cristianizzazione” d’anagrafe ad una evangelizzazione del cuore. Solo così nella vita di ciascun uomo, esattamente come nella vita di Gesù, è possibile la speranza e si espande quell’anima che don Vignolo ha detto essere “la memoria che Dio ha di ciascuno di noi”.

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I file audio con le registrazioni integrali di tutti gli interventi del convegno sono disponibili a questo link sul sito del Seminario di Monza