Nell’omelia della Messa allo stadio di Bangkok papa Francesco oggi ha tracciato l’identikit del missionario: “Non è un mercenario della fede né un procacciatore di proseliti, ma un mendicante che riconosce che gli mancano i fratelli, le sorelle e le madri, con cui celebrare e festeggiare il dono irrevocabile della riconciliazione che Gesù dona a tutti noi”
A conclusione della sua prima giornata a Bangkok Papa Francesco oggi ha presieduto allo stadio la Messa per le comunità cattoliche locali.E prendendo spunto dalla storia dell’evangelizzazione della Thailandia ha proposto quest’omelia che è un vero e proprio manifesto sul significato più autentico della missione.
«Chi è mia madre e chi sono i miei fratelli?» (Mt 12,48).
Con questa domanda Gesù provocò tutta quella folla che lo ascoltava a interrogarsi su qualcosa che potrebbe sembrare tanto ovvio quanto certo: chi sono i membri della nostra famiglia, quelli che ci appartengono e ai quali noi apparteniamo? Lasciando che la domanda risuonasse in loro in modo chiaro e nuovo, risponde: «Chiunque fa la volontà del Padre mio che è nei cieli, egli è per me fratello, sorella e madre» (Mt 12,50). In questo modo rompe non solo i determinismi religiosi e legali dell’epoca, ma anche ogni pretesa eccessiva di chi ritenesse di poter vantare diritti preferenziali su di Lui. Il Vangelo è un invito e un diritto gratuito per tutti quelli che vogliono ascoltare.
È sorprendente notare come il Vangelo sia intessuto di domande che cercano di mettere in crisi, di scuotere e di invitare i discepoli a mettersi in cammino, per scoprire quella verità capace di dare e di generare vita; domande che cercano di aprire il cuore e l’orizzonte all’incontro con una novità molto più bella di quanto si possa immaginare. Le domande del Maestro vogliono sempre rinnovare la nostra vita e quella della nostra comunità con una gioia senza pari (cfr Esort. ap. Evangelii gaudium, 11).
Così è successo ai primi missionari che si misero in cammino e arrivarono in queste terre; ascoltando la Parola del Signore, cercando di rispondere alle sue richieste, poterono vedere che appartenevano a una famiglia molto più grande di quella generata dai legami di sangue, di cultura, di regione o di appartenenza a un determinato gruppo. Spinti dalla forza dello Spirito e riempite le loro sacche con la speranza che nasce dalla buona novella del Vangelo, si misero in cammino per cercare i membri di questa loro famiglia che ancora non conoscevano. Uscirono a cercare i loro volti. Era necessario aprire il cuore a una nuova misura, capace di superare tutti gli aggettivi che sempre dividono, per scoprire tante madri e fratelli thai che mancavano alla loro mensa domenicale. Non solo per quanto avrebbero potuto offrire ad essi, ma anche per tutto ciò che da loro avevano bisogno di ricevere per crescere nella fede e nella comprensione delle Scritture (cfr Conc. Vat. II, Cost. Dei Verbum, 8). Senza quell’incontro, al Cristianesimo sarebbe mancato il vostro volto; sarebbero mancati i canti, le danze che rappresentano il sorriso thai, così tipico delle vostre terre.
Così hanno intravisto meglio il disegno amorevole del Padre, che è molto più grande di tutti i nostri calcoli e previsioni e non si riduce ad un pugno di persone o a un determinato contesto culturale. Il discepolo missionario non è un mercenario della fede né un procacciatore di proseliti, ma un mendicante che riconosce che gli mancano i fratelli, le sorelle e le madri, con cui celebrare e festeggiare il dono irrevocabile della riconciliazione che Gesù dona a tutti noi: il banchetto è pronto, uscite a cercare tutti quelli che incontrate per la strada (cfr Mt 22,4.9). Questo invio è fonte di gioia, gratitudine e felicità piena, perché «permettiamo a Dio di condurci al di là di noi stessi perché raggiungiamo il nostro essere più vero. Lì sta la sorgente dell’azione evangelizzatrice» (Esort. ap. Evangelii gaudium, 8).
Sono passati 350 anni dalla creazione del Vicariato Apostolico del Siam (1669-2019), segno dell’abbraccio familiare prodotto in queste terre. Due soli missionari seppero trovare il coraggio di gettare i semi che, fin da quel tempo lontano, stanno crescendo e germogliando in una varietà di iniziative apostoliche, che hanno contribuito alla vita della nazione. Questo anniversario non significa nostalgia del passato, ma fuoco di speranza perché, nel presente, anche noi possiamo rispondere con la stessa determinazione, forza e fiducia. È memoria festosa e grata, che ci aiuta ad uscire con gioia per condividere la vita nuova che viene dal Vangelo con tutti i membri della nostra famiglia che ancora non conosciamo.
Tutti siamo discepoli missionari quando ci decidiamo ad essere parte viva della famiglia del Signore e lo facciamo condividendo come Lui lo ha fatto: non ha avuto paura di sedersi a tavola con i peccatori, per assicurare loro che alla tavola del Padre e del creato c’era un posto riservato anche per loro; ha toccato coloro che si consideravano impuri e, lasciandosi toccare da loro, li ha aiutati a comprendere la vicinanza di Dio, anzi, a comprendere che loro erano i beati (cfr S. Giovanni Paolo II, Esort. ap. postsin. Ecclesia in Asia, 11).
Penso in particolar modo a quei bambini, bambine e donne esposti alla prostituzione e alla tratta, sfigurati nella loro dignità più autentica; a quei giovani schiavi della droga e del non-senso che finisce per oscurare il loro sguardo e bruciare i loro sogni; penso ai migranti spogliati delle loro case e delle loro famiglie, come pure tanti altri che, come loro, possono sentirsi dimenticati, orfani, abbandonati, «senza la forza, la luce e la consolazione dell’amicizia con Gesù Cristo, senza una comunità di fede che li accolga, senza un orizzonte di senso e di vita» (Esort. ap. Evangelii Gaudium, 49). Penso ai pescatori sfruttati, ai mendicanti ignorati.
Essi fanno parte della nostra famiglia, sono nostre madri e nostri fratelli; non priviamo le nostre comunità dei loro volti, delle loro piaghe, dei loro sorrisi, delle loro vite; e non priviamo le loro piaghe e le loro ferite dell’unzione misericordiosa dell’amore di Dio. Il discepolo missionario sa che l’evangelizzazione non è accumulare adesioni né apparire potenti, ma aprire porte per vivere e condividere l’abbraccio misericordioso e risanante di Dio Padre che ci rende famiglia.
Cara comunità tailandese: andiamo avanti nel cammino, sulle orme dei primi missionari, per incontrare, scoprire e riconoscere con gioia tutti i volti di madri, padri e fratelli che il Signore ci vuole regalare e mancano al nostro banchetto domenicale.