Al Convegno teologico del Seminario del Pime lo “sguardo esterno” del filosofo Salvatore Natoli sulla testimonianza cristiana oggi: “Raccontate un Gesù che incarna la carità; ma mira più a elevare l’uomo verso Dio piuttosto che a scandalizzalo con qualcosa che lo eccede”
Il Vangelo annunciato dai cristiani di oggi? Ha al suo centro la carità; ma mira più a elevare l’uomo verso Dio piuttosto che a scandalizzalo con qualcosa che lo eccede. È la fotografia scattata da un non credente come il filosofo Salvatore Natoli su come sta cambiando la testimonianza di Gesù Cristo nella società secolarizzata di oggi. Occasione per l’intervento è stata l’apertura del convegno “Rendere ragione della speranza che è in voi”, che il Seminario teologico internazionale di Monza – il seminario dove studiano i futuri missionari del Pime – dedica in questi giorni a come raccontare Gesù Cristo nel mondo di oggi.
Uno sguardo senza pregiudizi, quello di Natoli, ma anche contraddistinto da quella franchezza che un osservatorio esterno tante volte rende più semplice. A partire da una constatazione: la secolarizzazione ha già cambiato il modo di comunicare Gesù Cristo. “Con il Concilio Vaticano II la Chiesa ha compiuto la scelta del dialogo con la modernità – osserva il filosofo -. E da quel momento anche il rapporto con la secolarizzazione è cambiato: non la si vede più solo come un cedere, ma anche come un decantare, un’occasione di purificazione”.
In questo senso la secolarizzazione per Natoli è diventato come un ultimo stadio dell’inculturazione: ha portato a un Vangelo talmente incarnato da non essere quasi più trascendente. “Giovanni Paolo II – commenta – presentava il cristianesimo ancora in termini di difesa della verità. In Francesco invece l’annuncio è totalmente esistenziale: qual è la prova che il cristianesimo è vero? Vivilo. Nella Chiesa si parla sempre meno di vita eterna e sempre più di un Dio che comprende il dolore del mondo e se ne fa carico”.
Agli occhi del non credente il mutamento appare radicale: “Pur non essendoci stato alcun ripudio delle dottrine precedenti – sostiene Natoli -, nei fatti a me pare che l’annuncio cristiano si vada sempre più formulando così: Gesù non è il figlio di Dio che scende nel mondo, ma colui che ha immesso un comportamento in grado di elevare l’uomo verso Dio. L’annuncio di oggi è che l’uomo può diventare Dio mettendosi al servizio dell’altro. Consapevole che è un cammino non da poco: comporta comunque una crocifissione del proprio egoismo”.
Si tratta di un messaggio che affascina: è quanto conviene a tutti; e nessuno a livello umano può metterlo in dubbio. Però ha dentro di sé anche il rischio del sentimentalismo: “La retorica della carità è l’ultimo fraintendimento dell’ultima inculturazione – sintetizza il filosofo -. E chissà che proprio da qui non ritorni la sete di trascendente. Anche se a me pare proprio che almeno per il momento latiti”.
Ma se l’annuncio del Vangelo oggi è questo dove entra in gioco la fede? “Non nella charitas – risponde Natoli -: per quanto sia complicata da vivere, capisco bene in un mondo che vivesse in questo modo sarebbe migliore. Quando papa Francesco predica la carità non mi fa diventare credente. Anzi, magari mi permetto di aggiungere alle sue parole che l’avevo detto già detto anch’io… L’improbabile, il salto della fede sta altrove: credere in una redenzione che non si declini progressivamente solo al futuro, ma che sia in grado di risanare anche il dolore passato e le ingiustizie subite. Credere che ci sia una redenzione anche per i morti che sono in fondo al Mediterraneo. Ho conosciuto persone che hanno una fede così. E questo umanamente per me è incredibile, mi spiazza”.
Ma il fatto che – nonostante tutti i miei sforzi – la carità non sia mai compiuta, non mi rimanda per forza a qualcosa che mi trascende? – è la domanda che giunge dal pubblico (credente) del convegno. “Certo – risponde Natoli -. Si può anche dire che siccome vivere la carità in maniera così radicale è molto difficile allora si crea una condizione spirituale di apertura al trascendente. È una via tipica, ad esempio, del giudaismo che all’immortalità ci arriva non a partire da una visione filosofica, ma dalla constatazione che resta comunque un male da riscattare e questo non può avere l’ultima parola sulla giustizia di Dio annunciata dalla Torah. Ma ci può anche essere – all’opposto – una risposta terrena, la variante realista: ho fatto del mio meglio, sono arrivato fino a qui e basta”.
In ogni caso per Natoli è l’esperienza – e non la verità astratta – l’unico ambito possibile per una testimonianza cristiana. “La fede oggi – conclude – non si gioca sull’affermazione di una verità astratta, ma sullo scandalo. Sentire che c’è un dolore inconsolabile, di fronte al quale non sono più sufficienti le risposte convenienti della società. Di fronte a questo si pone il bivio della fede. E il confine con quello che per me – non credente – può restare solo un bel sogno”.