Il 18 ottobre 1964 – nella Giornata missionaria mondiale – Montini presiedette la canonizzazione dei martiri dell’Uganda. E fu in quell’occasione che, annunciando il suo viaggio apostolico in India, pronunciò parole bellissime sul senso dell’universalità della Chiesa e della missione «ad gentes» che la sua canonizzazione ci invita a riscoprire
In queste ore che accompagnano la sua canonizzazione vengono ripercorsi tanti volti di Paolo VI. Ma ce n’è uno che il mondo missionario non può rinunciare a ricordare: il suo sguardo ampio sul mondo, così prezioso da ritrovare oggi. Montini fu un Papa dichiaratamente missionario. E una delle pagine più belle del suo magistero sulla missione fu il viaggio che compì in India nel dicembre 1964. Tutti ricordano il viaggio in Terra Santa del 1963 come il primo di un Papa sulle strade del mondo e certamente questo è vero. Ma il viaggio nei Luoghi di Gesù avrebbe potuto benissimo restare un unicum: la vera scelta di una «Chiesa in uscita» – come diremmo oggi – Montini la compì l’anno dopo con il viaggio a Bombay. Un viaggio che – significativamente – fu annunciato nel contesto della Giornata missionaria mondiale 1964 e durante il rito della canonizzazione dei martiri dell’Uganda. Le parole che proponiamo qui sotto – con cui Paolo VI spiegò il 18 ottobre 1964 ai padri conciliari i motivi della sua scelta – rimangono tuttora una delle pagine più belle mai scritte sul senso della missione nel mondo di oggi.
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«Di fronte al risveglio dei popoli nuovi, sentiamo crescere in noi la convinzione che sia nostro dovere, un dovere d’amore, avvicinare con un dialogo più fraterno questi stessi popoli, dare loro un segno della nostra stima e del nostro affetto, manifestare come la Chiesa cattolica capisce le loro legittime aspirazioni, per aiutare il loro sviluppo libero ed equo per vie pacifiche di fratellanza umana e anche per rendere più facile, quando liberamente lo vogliono, l’accesso alla conoscenza di Cristo che noi crediamo costituisca per tutti la vera salvezza e il più originale e meraviglioso interprete delle loro stesse aspirazioni più profonde.
Tale è la forza di questa convinzione che ci sembra di non dover rifiutare l’occasione, o piuttosto, l’invito che ci viene rivolto con insistenza ad andare a incontrare un grande popolo, nel quale ci piace vedere simboleggiata l’immensa popolazione di un intero continente, per portare il nostro messaggio sincero della fede cristiana. Quindi, vi informiamo, fratelli, che abbiamo deciso di prendere parte al prossimo Congresso Eucaristico Internazionale a Bombay.
È la seconda volta che annunciamo in questa basilica un nostro viaggio, fino ad ora completamente estraneo ai costumi del nostro ministero pontificio apostolico. Ma crediamo che allo stesso modo del primo viaggio in Terra Santa, questo alle porte dell’Asia immensa, del nuovo mondo moderno, non sia estraneo alla natura, ancor più, al mandato del nostro ministero apostolico. Sentiamo nel nostro cuore solenni e urgenti le parole sempre vive di Gesù Cristo: “Andate e annunciate a tutte le nazioni” (Mt 28,19).
Non è infatti il desiderio di novità o di viaggiare che ci spinge a questa decisione, ma solo lo zelo apostolico di portare il nostro saluto evangelico agli immensi orizzonti umani che i tempi nuovi aprono davanti ai nostri passi e il solo scopo è di offrire a Cristo Signore una testimonianza di fede e di amore più ampia, più viva e più umile.
Il Papa si fa missionario, si dirà. Sì, il Papa si fa missionario, che vuol dire apostolo, testimone, pastore in cammino. Siamo felici di ripeterlo in questa Giornata Missionaria Mondiale. Il nostro viaggio, anche se brevissimo e semplicissimo, circoscritto a una sola stazione, dove a Cristo presente nell’Eucaristia è tributato solenne omaggio, vuole essere un attestato di riconoscenza per tutti i missionari di ieri e di oggi che hanno consacrato la loro vita alla causa del Vangelo e per coloro che, seguendo le orme di san Francesco Saverio, hanno “fondato la Chiesa” con tanta dedizione e frutto in Asia e in particolare in India; vuole anche essere un’adesione simbolica, un’esortazione e un incoraggiamento a tutti gli sforzi missionari della Santa Chiesa cattolica; vuol essere prima e pronta risposta all’invito missionario che il Concilio ecumenico in corso lancia alla Chiesa, affinché ciascuno che le è membro fedele accolga in sé l’ansia della dilatazione del Regno di Cristo; vuole essere uno stimolo e un applauso per tutti i nostri missionari sparsi in tutto il mondo e per coloro che li sostengono e li aiutano; vuole essere un segno di amore e di fiducia per tutti i popoli della Terra.
E beati i martiri dichiarati oggi cittadini del cielo che aprono il nostro spirito a tali propositi; che siano loro a infonderci coraggio, gioia e speranza, in nomine Domini».
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Altrettanto importanti sarebbero state poi le parole pronunciate di ritorno da quel viaggio, segnato dalla sorprendente accoglienza e amicizia che una grandissima folla di persone non cristiane riversò su Paolo VI. Volle parlarne immediatamente all’Angelus, appena rientrato a Roma.
«Vi portiamo il saluto dei popoli che abbiamo incontrato nel nostro pellegrinaggio – disse -. Le loro dimostrazioni non erano soltanto per la nostra persona, ma per quanto rappresentiamo e quindi anche per voi che ci siete figli e fratelli. Appunto di quei popoli vi additiamo l’esempio di religiosità, di pazienza, di laboriosità, di umiltà serena e consapevole, e sempre piena di speranza e di bontà.
Tutto ciò dimostra come, nel mondo di oggi, le relazioni, anche fra gli individui ed i popoli più lontani, sono possibili e diventano, anzi, il costume al quale dobbiamo abituarci. Perciò occorre ognor più studiarci di conoscere, amare, rispettare, aiutare gli altri. Questo è il principio che deve governare la mentalità, la formazione degli uomini di oggi e di domani.
Quanto si è verificato rivela come il cristianesimo, che è la religione dell’amore e che predica la carità per i fratelli, il rispetto per ogni anima umana, sia la vera religione, e proprio del tempo presente. Possiede una sua attualità e modernità che noi stessi siamo sempre tenuti a riconoscere e professare.
Preghiamo quindi la Madonna affinché ci renda veramente fedeli alla nostra vocazione cristiana, per essere altrettanto fedeli alla nostra vocazione umana».
Per un approfondimento sui viaggi di Paolo VI, tutti fortemente segnati da questo stesso slancio missionario, segnaliamo il libro di Giorgio Bernardelli e Lorenzo Rosoli, «Paolo VI. Destinazione mondo» (Editrice Emi, 2014)