Nel messaggio per la ricorrenza che la Chiesa celebra il 1° gennaio una riflessione sulla ripartenza dopo il Covid alla luce delle conseguenze globali del conflitto in Ucraina: «Il virus della guerra è più difficile da sconfiggere perché non viene dall’esterno. Non possiamo pensare solo a preservare lo spazio dei nostri interessi personali o nazionali»
Città del Vaticano (AsiaNews) – «Il virus della guerra è più difficile da sconfiggere di quelli che colpiscono l’organismo umano, perché esso non proviene dall’esterno, ma dall’interno del cuore umano, corrotto dal peccato”. Lo scrive Papa Francesco nel messaggio per la 56.ma Giornata mondiale della pace che la Chiesa celebrerà il 1 gennaio 2023. Diffuso questa mattina dalla Sala stampa vaticana si intitola «Nessuno può salvarsi da solo. Ripartire dal Covid-19 per tracciare insieme sentieri di pace».
Nel testo – che prende spunto dal brano della prima lettera ai Tessalonicesi in cui san Paolo scrive che «il giorno del Signore verrà come un ladro di notte» (1Ts 5,1-2) – Francesco traccia un bilancio dell’eredità lasciata dalla pandemia, invitando a rileggerla in rapporto all’esperienza della guerra in Ucraina e a tutti gli altri conflitti nel mondo, «sconfitta per l’umanità intera e non solo per le parti direttamente coinvolte».
«Assieme alle manifestazioni fisiche – scrive il Papa – il Covid-19 ha provocato, anche con effetti a lungo termine, un malessere generale che si è concentrato nel cuore di tante persone e famiglie, con risvolti non trascurabili, alimentati dai lunghi periodi di isolamento e da diverse limitazioni di libertà. Inoltre, non possiamo dimenticare come la pandemia abbia toccato alcuni nervi scoperti dell’assetto sociale ed economico, facendo emergere contraddizioni e disuguaglianze. Ha minacciato la sicurezza lavorativa di tanti e aggravato la solitudine sempre più diffusa nelle nostre società, in particolare quella dei più deboli e dei poveri».
Per questo – prosegue Francesco – «dopo tre anni, è ora di prendere un tempo per interrogarci, imparare, crescere e lasciarci trasformare, come singoli e come comunità; un tempo privilegiato per prepararsi al ‘giorno del Signore’». Per il Pontefice «la più grande lezione che il Covid-19 ci lascia in eredità è la consapevolezza che abbiamo tutti bisogno gli uni degli altri, che il nostro tesoro più grande, seppure anche più fragile, è la fratellanza umana, fondata sulla comune figliolanza divina, e che nessuno può salvarsi da solo. È urgente dunque ricercare e promuovere insieme i valori universali che tracciano il cammino di questa fratellanza umana. Abbiamo anche imparato che la fiducia riposta nel progresso, nella tecnologia e negli effetti della globalizzazione non solo è stata eccessiva, ma si è trasformata in una intossicazione individualistica e idolatrica, compromettendo la garanzia auspicata di giustizia, di concordia e di pace».
Non sono mancati nella pandemia anche i raggi di luce: il ritorno all’umiltà, un ridimensionamento di certe pretese consumistiche, l’impegno solidale fino all’eroismo di tante persone. Ma «nel momento in cui abbiamo osato sperare che il peggio della notte fosse stato superato – osserva il Papa – una nuova terribile sciagura si è abbattuta sull’umanità. Abbiamo assistito all’insorgere di un altro flagello: un’ulteriore guerra, in parte paragonabile al Covid-19, ma tuttavia guidata da scelte umane colpevoli».
Francesco ricorda che «la guerra in Ucraina miete vittime innocenti e diffonde incertezza, non solo per chi ne viene direttamente colpito, ma in modo diffuso e indiscriminato per tutti, anche per quanti, a migliaia di chilometri di distanza, ne soffrono gli effetti collaterali, basti solo pensare ai problemi del grano e ai prezzi del carburante». E proprio a questo proposito durante la conferenza stampa di presentazione del messaggio il dott. Maximo Torero, capo economista della Fao, ha stimato in 25 miliardi di dollari l’aumento delle spese per le importazioni alimentari causato dalla guerra in Ucraina nei 62 Paesi più vulnerabili del mondo, con un incremento del 39% rispetto al 2020.
Che fare, allora? «Mentre per il Covid-19 si è trovato un vaccino, per la guerra ancora non si sono trovate soluzioni adeguate», osserva amaramente Francesco. In questo momento storico si tratta di «cambiare il cuore» lasciando che «Dio trasformi i nostri criteri abituali di interpretazione del mondo e della realtà. Non possiamo più pensare solo a preservare lo spazio dei nostri interessi personali o nazionali, ma dobbiamo pensarci alla luce del bene comune, con un senso comunitario, ovvero come un “noi” aperto alla fraternità universale. Non possiamo perseguire solo la protezione di noi stessi, ma è l’ora di impegnarci tutti per la guarigione della nostra società e del nostro pianeta, creando le basi per un mondo più giusto e pacifico, seriamente impegnato alla ricerca di un bene che sia davvero comune».
Di qui – ancora una volta – l’invito del Papa a comprendere che le tante crisi morali, sociali, politiche ed economiche che attraversano il mondo sono interconnesse. «Dobbiamo rivisitare il tema della garanzia della salute pubblica per tutti – elenca Francesco -; promuovere azioni di pace per mettere fine ai conflitti e alle guerre che continuano a generare vittime e povertà; prenderci cura in maniera concertata della nostra casa comune e attuare chiare ed efficaci misure per far fronte al cambiamento climatico; combattere il virus delle disuguaglianze e garantire il cibo e un lavoro dignitoso per tutti, sostenendo quanti non hanno neppure un salario minimo e sono in grande difficoltà. Lo scandalo dei popoli affamati ci ferisce. Abbiamo bisogno di sviluppare, con politiche adeguate, l’accoglienza e l’integrazione, in particolare nei confronti dei migranti e di coloro che vivono come scartati nelle nostre società».
«Solo spendendoci in queste situazioni, con un desiderio altruista ispirato all’amore infinito e misericordioso di Dio – conclude – potremo costruire un mondo nuovo e contribuire a edificare il Regno di Dio, che è Regno di amore, di giustizia e di pace».