«Ci siamo chiesti che cosa potevamo fare di fronte ai drammatici avvenimenti in Israele e Palestina. La nostra risposta sta nella preghiera e nella promozione in tutti i modi della riconciliazione, ispirati dal Vangelo della pace». La riflessione del direttore padre Gianni Criveller, missionario del Pime
Negli Atti degli apostoli (siamo al capitolo otto), il diacono Filippo lascia Gerusalemme perché i discepoli di Gesù sono in pericolo: Stefano è stato ucciso e Saulo entra nelle case dei credenti per trascinarli in prigione. Un angelo dice a Filippo: «Alzati e va’ verso il mezzogiorno, sulla strada che scende da Gerusalemme a Gaza; essa è deserta».
Gaza è citata poche volte nella Bibbia, ma in queste settimane rimbalza in continuazione nei nostri pensieri, preghiere e angosce. Non solo la strada per Gaza, ma la stessa città è diventata deserta di umanità, tabula rasa di case e ospedali, e delle famiglie e ammalati che le abitano.
Fin dalle prime immagini delle orribili violenze sui cittadini israeliani e della risposta dell’esercito di Israele ci siamo chiesti: noi del Centro missionario Pime di Milano che cosa possiamo fare? Non eravamo preparati. Per quanto siamo allertati sui numerosi conflitti a bassa o alta intensità, la violenza riesplosa nella terra di Gesù (che era un ebreo vissuto in Palestina, e dunque inseparabile dalle radici e dalla storia di entrambi i popoli) ci ha devastato per la sua crudeltà. Cosa fare, dunque?
Intanto continuiamo, con più consapevole adesione interiore, quello che abbiamo iniziato dallo scorso 4 ottobre, giorno di San Francesco, nella chiesa di San Francesco Saverio (via Monte Rosa 81). Ogni mercoledì alle ore 12:35 celebriamo una Messa per la pace. È un segno, modesto certamente, ma eloquente. Un numero crescente di persone si unisce a noi, in presenza o con il cuore. Questo è il nostro messaggio: al Centro Pime preghiamo per la pace. Lo faremo sempre, regolarmente, tutte le settimane: abbiamo promesso di continuare a narrare il Vangelo della pace alla città di Milano e al mondo.
Credo che la preghiera sia sincera solo se operosa, accompagnata dal compimento generoso del proprio compito. Quale è la nostra missione in questa situazione? Di certo non siamo interessati a intavolare dibattitti e manifestazioni per discettare sulle nostre preferenze politiche. Dibattiti che dopo venti secondi diventano scontri, nei quali i contendenti inseguono le argomentazioni più brillanti per prevalere, compiaciuti, sugli altri. Compiaciuti di aver ragione mentre bambini, giovani, donne e uomini –palestinesi e israeliani, e non solo- sono uccisi nelle loro case, nelle strade e negli ospedali. Dibattiti così li lasciamo alle televisioni o ai leoni di tastiera della rete. Non cadiamo nella tentazione di essere sopraffatti dall’odio; non aderiamo alle posizioni violente, estreme e fanatiche di chi vuole l’annientamento dell’altra parte. Non giustifichiamo la violenza.
Accettiamo con sofferenza il senso di impotenza di fronte a tanta morte e devastazione. Ma non per questo ci sottrarremo alla preghiera e all’operosità. Credo che dobbiamo continuare a fare quello che facciamo e con maggiore consapevolezza. La missione che è nostra è quelle dell’educazione alla pace. L’agenzia Asianews, la rivista Mondo e Missione, i video e i siti, le newsletter, i social e la libreria riportano quotidianamente contenuti e materiale che ci aiutano a conoscere, comprendere e interpretare quanto avviene. Contenuti informati al pensiero di una convivenza e riconciliazione che – per quanto faticosa e al limite dell’impossibile in queste circostanze – resta l’unica in grado di costruire un futuro per questi due popoli. E non lo diciamo solo noi: anche nella Terra Santa ancora una volta sfregiata, anche tra le macerie di oggi, c’è chi sta provando a realizzarlo, nonostante tutto. Sosteniamo il diritto alla vita, alla sicurezza, alla difesa e all’autodeterminazione. Condanniamo l’ingiustizia e la violenza, ispirati al Vangelo della pace e della non violenza, agli appelli del Papa e del Patriarca di Gerusalemme.
Continueremo a promuovere contenuti di intercultura, dialogo, conoscenza e accoglienza reciproca nelle scuole e nei gruppi grazie ai formatori della mondialità; nell’iniziativa Time Out (un doposcuola in cui ragazze e ragazzi di diverse provenienze nazionali e religiose sono seguiti da nostri educatori); nelle iniziative del teatro, del museo, della biblioteca e della libreria, e in ogni altra occasione.
Il cardinal Carlo Maria Martini, parafrasando il salmo 87, ci ricordava che tutti siamo nati a Gerusalemme, il cui nome significa, appunto, città della pace. Le sorti di questa città e di questa terra ci toccano tutti, profondamente. Sia pace su Gerusalemme. Sia pace su Gaza. Sia pace sulla Palestina, sia pace su Israele.