Oltre 200 vescovi da 29 Paesi dell’Asia si sono incontrati a Bangkok per la loro prima Conferenza generale. Obiettivo: individuare strade comuni per essere testimoni del Vangelo in contesti segnati da sfide come la povertà o l’estremismo. Accanto alle altre religioni e partendo dai giovani
Dalle piccolissime comunità delle steppe dell’Asia Centrale alle presenze (non meno nascoste) nelle immense metropoli dell’Estremo Oriente; dalle comunità pachistane alle prese con le discriminazioni religiose alla nuova vitalità del cattolicesimo vietnamita. Dal 12 al 30 ottobre al centro pastorale Baan Phu Waan dell’arcidiocesi di Bangkok per la prima volta le Chiese cattoliche dell’Asia hanno tenuto la propria Conferenza generale: per tre settimane 226 tra cardinali, vescovi, sacerdoti, religiose e laici da 29 diversi Paesi, si sono confrontati su come essere presenti oggi da cristiani in quello che Giovanni Paolo II amava definire come «il continente del Terzo millennio». Un incontro a cui abbiamo partecipato anche noi e che è stata un’occasione preziosa per toccare con mano tanti volti diversi delle Chiese cattoliche dell’Asia.
L’occasione dovevano essere i 50 anni della Fabc – la Federazione delle Conferenze episcopali dell’Asia – nata nel 1970 durante lo storico viaggio di Paolo VI nelle Filippine. Le restrizioni dovute alla pandemia hanno però costretto a rinviare l’appuntamento di due anni. «In questi giorni di incontri e scambi – racconta il cardinale Charles Bo, arcivescovo di Yangon e presidente della Fabc – anche noi come Mosè abbiamo visto i roveti ardenti dello sfruttamento, delle rivalità, l’olocausto economico, le migrazioni, le guerre, i disastri provocati dall’uomo. Abbiamo detto al Signore: come è possibile? Ma abbiamo la certezza che Lui è qui con noi».
«È stato un tempo fruttuoso di preghiera, ascolto, discernimento e incoraggiamento reciproco – hanno riassunto i vescovi nel Messaggio ai popoli dell’Asia diffuso a conclusione dei lavori -. È stato anche un momento di guarigione dal dolore provocato dalla pandemia di Covid-19. Siamo stati ispirati dalla speranza, dal coraggio e dalla determinazione delle Chiese a camminare insieme e a lavorare con maggiore dedizione per un’Asia migliore».
L’icona evangelica scelta come tema per questa Conferenza generale era il brano dei magi che dopo l’incontro con Gesù bambino a Betlemme «per un’altra strada» fanno ritorno in Oriente. E proprio la consapevolezza del bisogno di “nuove strade” per annunciare il Vangelo nel continente meno cristiano del mondo è stata al centro del confronto tra esperienze tra loro molto diverse. Ciascuna delle Chiese locali si è presentata alle altre in un vero e proprio viaggio virtuale; e già questo è stato un dono grande per comunità spesso piccolissime e isolate. Il frutto di questo scambio e delle riflessioni comuni su alcuni grandi temi emergenti (le periferie, le migrazioni, la custodia del creato, le famiglie, i giovani) dovrebbe essere un documento che vedrà la luce nei prossimi mesi e che ha l’ambizione di diventare per l’Asia ciò che per l’America Latina sono diventati i piani pastorali stesi al termine delle grandi Conferenze di Medellín, Puebla e Aparecida.
Certo, il contesto asiatico è profondamente diverso: dopo 2.000 anni i cristiani qui restano una piccola minoranza, appena il 2% della sua popolazione, in molti Paesi anche molto meno. Ma non è anche questa una vocazione? «Nel continente dove vivono i due terzi degli abitanti del mondo – ha ricordato ai vescovi il cardinale Luis Antonio Tagle, pro-prefetto del dicastero per l’Evangelizzazione, giunto a Bangkok come inviato speciale di Papa Francesco – siamo minoranza persino nelle nostre istituzioni: in Thailandia, per esempio, su 300 mila studenti delle scuole cattoliche solo il 2% sono cristiani. Le parabole del Regno, però, ci rivelano che Dio agisce proprio attraverso i piccoli. Il fatto di essere pochi, ai margini, non ascoltati, non impedisce alla Chiesa in Asia di vivere la sua missione. E dobbiamo ricordarcelo anche nelle Filippine o a Timor Est, dove invece siamo maggioranza: il Regno si costruisce nell’umiltà, nella compassione, nella solidarietà con i piccoli della società».
Ed è un messaggio che non vuole fermarsi entro i confini dell’Asia. A sottolinearlo è il cardinale arcivescovo di Mumbai, Oswald Gracias, che rappresenta il continente nel Consiglio dei cardinali voluto da Papa Francesco: «È arrivato il momento di offrire il nostro contributo alla Chiesa universale – spiega -. Per esempio un punto specifico su cui i cattolici nel resto del mondo potrebbero imparare molto dall’Asia è il dialogo interreligioso. I cristiani di molti Paesi, soprattutto in Europa, si interrogano oggi su come rapportarsi con chi professa una fede diversa dalla propria; per noi questa non è un’opzione: è una necessità. Abbiamo scommesso sulla possibilità di crescere insieme. Un altro esempio del nostro contributo specifico sono i pronunciamenti e le iniziative sulla pace e la riconciliazione delle Conferenze episcopali di Paesi come la Corea o il Giappone: sarebbe utile leggerli oggi in Europa. Le nostre esperienze, le nostre riflessioni, i nostri stessi fallimenti possono essere d’aiuto al cammino della Chiesa anche in altre parti del mondo».
Consapevoli che dal Myanmar fino alle tensioni intorno a Taiwan, anche in Asia il cantiere della pace resta un’altra grande sfida aperta. «Sì, anche da noi crescono i conflitti, le violenze, il fondamentalismo – continua ancora Gracias -. Ed è importante che, come Chiesa, non ci fermiamo agli appelli, ma lavoriamo per la pace, la riconciliazione, l’armonia. Parlare nel nome di Cristo, della verità, della giustizia, senza complessi di inferiorità. Dobbiamo rifletterci, assumere un ruolo più forte, animando la società civile e mostrando che la pace funziona, è progresso. Mentre la guerra significa solo compiere passi indietro».
La Conferenza generale è stata anche un’occasione per riflettere su come far crescere la corresponsabilità all’interno delle Chiese dell’Asia: nel suo messaggio inviato all’incontro Papa Francesco stesso ha insistito sul ruolo dei laici. E parole significative sono giunte anche dai giovani presenti accanto a vescovi e cardinali a questo evento.
«Occorre capire – spiegano gli indiani Ashita e Anthony e la malese Josephine – che noi giovani possiamo offrire di più, impegnarci in prima persona già ora nell’evangelizzazione negli ambienti in cui viviamo le nostre giornate e nel servizio all’interno della società. Ma è un percorso che diventa possibile solo se nella Chiesa impariamo a collaborare di più».
All’incontro di Bangkok si è notata – però – un’assenza pesante: quella dei vescovi provenienti dalla Repubblica popolare cinese. Nonostante l’Accordo provvisorio tra la Santa Sede e Pechino sulla nomina dei vescovi (il cui rinnovo ufficiale è stato annunciato proprio mentre era in corso la Conferenza di Bangkok) le forme di collaborazione effettiva tra le diocesi della Cina continentale e il resto dell’Asia restano difficoltose. L’assenza di una rappresentanza dei vescovi cinesi a un appuntamento del genere testimonia che la normalità nei rapporti è ancora lontana. La pandemia ha certamente complicato le cose, ma da sola non basta a spiegare come mai non sia stato possibile nemmeno un intervento a distanza. «Invieremo comunque all’episcopato cinese la sintesi dei nostri lavori – hanno detto i vescovi nella conferenza stampa conclusiva a Bangkok -. E se riceveremo da loro osservazioni, ne terremo conto nella stesura del documento finale. Sono anche loro una componente importante del nostro cammino».