Nel nuovo saggio di Antonio Spadaro e Marcelo Figueroa l’analisi di come questo modo distorto di leggere il Vangelo che lega la ricchezza e la salute alla benedizione di Dio stia propagandosi con forza anche nel Sud del mondo. E abbia papa Francesco oggi come unico vero antagonista
Nel luglio 2017 padre Antonio Spadaro e il pastore presbiteriano argentino Marcelo Figueroa firmavano sulla rivista La Civiltà Cattolica un saggio intitolato «Fondamentalismo evangelicale e integralismo cattolico» destinato a suscitare molte discussioni. La sua tesi di fondo era l’accostamento tra alcune posizioni del mondo evangelical Usa (molto vicine alla destra repubblicana) e certe tesi dell’integralismo cattolico. «La prospettiva più pericolosa di questo strano ecumenismo – scrivevano il direttore de La Civiltà Cattolica e il teologo evangelico argentino – è ascrivibile alla sua visione xenofoba e islamofoba, che invoca muri e deportazioni purificatrici. La parola “ecumenismo” si traduce così in un paradosso, in un “ecumenismo dell’odio”. L’intolleranza è marchio celestiale di purismo, il riduzionismo è metodologia esegetica, e l’ultra-letteralismo ne è la chiave ermeneutica».
A un anno di distanza – proprio mentre il dibattito sull’immigrazione sta mostrando quanto questi toni siano sempre più diffusi anche qui in Italia – Spadaro e Figueroa ritornano sull’argomento sviluppando un aspetto cruciale di quella tesi: la correlazione con la cosiddetta «teologia della prosperità», cioè quella corrente di pensiero che – distorcendo la stessa idea dell’American Dream – trasforma l’idea del benessere (fisico ed economico) in un segno della benedizione divina. Il nuovo saggio di Spadaro e Figueroa – intitolato «Teologia della prosperità. Il pericolo di un “Vangelo diverso”» che apparirà sul quaderno 4034 di La Civiltà Cattolica in uscita in questi giorni – ha il pregio di andare a ricostruire le radici di quest’idea nel pensiero dei pastori Esek William Kenyon (1867-1948) e Kenneth Hagin (1917-2003) e nel ruolo giocato dai canali televisivi evangelical e dalle cosiddette «mega-Chiese» nella sua diffusione.
Fin troppo evidente è il legame tra questo mondo e ciò che Donald Trump incarna negli Stati Uniti di oggi. Ma il nuovo articolo de La Civiltà Cattolica ha soprattutto un altro pregio: mette bene in luce come si tratti di un fenomeno ormai non più riducibile al solo contesto Usa. Spadaro e Figueroa citano per l’America Centrale Guatemala e Costarica come due bastioni della «teologia della prosperità»; per non parlare del caso brasiliano dell’Igreja Universal do Reino de Deus. Questo modo di leggere il Vangelo sta però crescendo in maniera significativa anche in Africa e in Asia: l’articolo cita per esempio il caso della Miracle Center Cathedral di Kampala, in Uganda, con il suo pastore Robert Kayanja. E in Corea del Sud il movimento del pastore Paul Yonggi Cho, con la sua «teologia della quarta dimensione», secondo cui i credenti «mediante lo sviluppo di visioni e sogni, sarebbero potuti giungere a controllare la realtà, ottenendo qualsiasi genere di prosperità immanente». E poi in Cina il fenomeno delle «Chiese di Wenzhou» sostenute da facoltosi imprenditori locali.
Spadaro e Figueroa inoltre chiarissimi nell’indicare chi sono le vittime principali di questo Vangelo trasformato su scala globale in un banale contratto tra Dio e il credente. «In verità, uno dei gravi problemi che porta con sé la “teologia della prosperità” è il suo effetto perverso sulla gente povera – scrivono -. Infatti, essa non solo esaspera l’individualismo e abbatte il senso di solidarietà, ma spinge le persone ad avere un atteggiamento miracolistico, per cui solamente la fede può procurare la prosperità, e non l’impegno sociale e politico. Quindi il rischio è che i poveri che restano affascinati da questo pseudo vangelo rimangano imbrigliati in un vuoto politico-sociale che consente con facilità ad altre forze di plasmare il loro mondo, rendendoli innocui e senza difese. Il “vangelo della prosperità” non è mai fattore di reale cambiamento, che invece è fondamentale nella visione che è propria della dottrina sociale della Chiesa».
All’estremo opposto si colloca invece il magistero di papa Francesco, che in più occasioni in questi cinque anni di Pontificato ha preso di petto proprio le false illusioni propagandate dalla «teologia della prosperità». Tra gli interventi più forti di Bergoglio sull’argomento i due autori citano le parole rivolte ai vescovi della Corea durante il viaggio dell’agosto 2014: «State attenti, perché la vostra è una Chiesa in prosperità, è una grande Chiesa missionaria, è una grande Chiesa. Il diavolo non semini questa zizzania, questa tentazione di togliere i poveri dalla struttura profetica stessa della Chiesa, e vi faccia diventare una Chiesa benestante per i benestanti, una Chiesa del benessere […], non dico fino ad arrivare alla “teologia della prosperità”, no, ma nella mediocrità».
Il tema vero, dunque, è che sull’attenzione ai poveri nel mondo di oggi non si gioca solo una grande questione di giustizia sociale, ma una domanda sulla fede: chi è davvero il Signore che annunciamo? E che cosa significano per noi parole come salvezza o benessere? E sono domande che – anche se Spadaro e Figueroa espressamente non lo scrivono – appaiono ogni giorno più attuali anche in questa nostra Europa sempre più ripiegata su se stessa e sulla difesa di una prosperità sempre intesa solo come benessere individuale.
Foto: Flickr (Prab Bathia)