L’emergenza in Italia vista dalla Cambogia: «Prego con la mia gente, tanta o poca. Ci proviamo, perché siamo un corpo solo. Anche a distanza, separati da migliaia di chilometri. Siamo un corpo solo»
«È portentoso quello che succede.
E c’è dell’oro, credo, in questo tempo strano.
Forse ci sono doni.
Pepite d’oro per noi. Se ci aiutiamo». M. Gualtieri (1)
Pur essendo in Cambogia ricevo messaggi da amici italiani che mi raccontano quello che sta succedendo a casa loro, che è anche e ancora casa mia, durante questo periodo di diffusione del coronavirus. I media mi aggiornano sul numero di morti, sui contagi, sui ricoveri in terapia intensiva che ormai per via dei posti limitati avvengono «secondo speranza di vita e limiti di età»… Da parte mia sono tentato di controllare compulsivamente il crescere dei numeri quasi che, sapendo, possa esorcizzare il nemico. E illudermi di averlo sotto controllo. Ma invano. Nulla sembra essere sotto controllo. Anche il Governo stenta ad imporre “il tutti a casa”. Eppure si deve. Si può! Facciamolo!
Molti amici mi chiedono di pregare perché “la coesione sociale non venga meno”. A tutti i livelli. E lo faccio. Prego con la mia gente, tanta o poca. Ci proviamo, perché siamo un corpo solo. Anche a distanza, separati da migliaia di chilometri. Siamo un corpo solo. Rifugiati ciascuno a casa propria, eppure, mi dice la fede, siamo un corpo solo.
Vorrei per questo accompagnarvi da lontano con alcune parole. Adesso che siamo a casa proviamo a trasformare una costrizione della libertà, imposta da queste gravi circostanze, in un autentico cammino di ritorno a casa. «Forse ci sono doni. Pepite d’oro» tra le mura domestiche e le relazioni di ogni giorno.
La prima parola con la quale anch’io faccio i conti tutti i giorni e che vorrei condividere con voi è la parola “destino”. Il gesto dello stare a casa è un gesto gravido di destino. Ne va del destino di tutti. Può fermare la diffusione del virus e determinare positivamente il proprio e l’altrui futuro. «Questo tempo strano», questo strano virus sta portando alla ribalta il destino di tutti. Ci insegni almeno ad averlo a cuore, il destino di tutti. Non ci si salva da soli, ma insieme.
Mi hanno addolorato le immagini degli scaffali vuoti, “saccheggiati” dai più veloci e scaltri. Certamente autorizzati dalle circostanze, hanno indubbiamente assecondato un istinto di sopravvivenza che in situazioni simili non mi sento di biasimare. Nondimeno, anche quella natura, quell’essere predatore, nascosto dentro di noi, deve tornare a casa nella comunità degli uomini e delle donne che lo hanno generato.
A ciascuno l’onere di compiere gesti gravidi di destino. Gesti semplici eppure in grado di generare un destino buono per tutti. Rinunciare ad una parte, obbedire ad una legge, tacere o parlare, tutto può essere gravido di destino o di morte. Un amico mi diceva che secondo la sua esperienza in queste drammatiche circostanze vi sono due tipi di persone, chi dà il meglio di sé – lo vediamo tra le corsie degli ospedali e non solo – e chi invece dà il peggio. Di sé.
«Ma la domanda sul destino vive nella vita di ogni giorno, si gioca giorno per giorno nel rapporto concreto e limitato con le cose» (2), così è lo stare a casa in questi giorni, «guardare di più il cielo, / tingere d’ocra un morto. Fare per la prima volta / il pane. Guardare bene una faccia. Cantare / piano piano perché un bambino dorma. Per la prima volta stringere con la mano un’altra mano / sentire forte l’intesa. Che siamo insieme. / Un organismo solo. Tutta la specie la portiamo in noi. Dentro noi la salviamo».
Siano sempre le nostre parole e i nostri gesti gravidi di un destino buono per tutti. Penso a chi scrive per professione, a chi è titolato a rilasciare dichiarazioni, a chi corre tra un reparto d’ospedale e l’altro. A chi insegna seppure a distanza e alle madri dentro ogni casa. Ecco, le madri! Senza le quali non c’è casa, non c’è ritorno a casa. In ogni casa, ci vogliono le madri. Le mamme. Perché sono loro a trasformare il peso della terra in nutrimento per i loro figli. Lo fanno da sempre. Trasformano con le loro mani quel che la natura da loro per farne nutrimento da dare ai figli. Dentro ogni crisi, dentro ogni casa, ci vogliono le madri. Le cui parole, i cui gesti trasformano tutto, tanto più la pena, il dolore e l’indole avversa della natura, in un destino buono per i loro figli. Sono quelle madri che don Carlo Gnocchi con cristiana sapienza definiva «madri sensate e saporose» che «hanno saputo conservare intatto e profondo il sentimento di questa materna superiorità» (3).
Qualche giorno fa il primo ministro cambogiano ha fatto chiudere tutte le scuole della provincia di Siem Riep, ancora piuttosto lontana dal villaggio da cui vi sto scrivendo. Ieri invece hanno diagnosticato i primi casi di coronavirus a Kompong Cham, a pochi chilometri da qui.
Ci sentiremo comunque presto! Dobbiamo continuare a cercare la gloria di Dio anche e proprio in vicende così avverse e nemiche. Ciao.
- Il testo poetico di M. Gualtieri è disponibile a questo link
- A. Spadaro, Svolta di respiro, Milano 2010, 145.
- C. Gnocchi, Cristo con gli alpini, Milano 1999, 59.