Dalle Isole Bijagos in Guinea Bissau una lettera di padre Luca Vinati, missionario del Pime a Bubaque: «Vedendo quello che noi stessi stiamo vivendo anche qui a causa del Coronavirus, riscopro la Chiesa delle origini, magari costretta al silenzio o a “nascondersi”, ma che in famiglia ritorna all’essenza della nostra fede»
Cari amici e amiche,
vi scrivo mentre risuonano ancora le parole dell’angelo alle donne in quella mattina di quasi duemila anni fa: parole di vita e di speranza: “colui che cerate, il crocifisso, non è qui, è risorto, vedete il posto dove lo avevano deposto”.
Parole che sono rivolte anche a noi oggi, qui ed ora. In questo tempo fermo, sospeso, dove la morte pare abbia il sopravvento, le parole dell’angelo sembrano risuonare ancora più forti, ancora più vere perché alimentate dall’amore di un Dio, fatto uomo, morto per noi, perché’ avessimo vita e vita in abbondanza (cfr. Gv 10,10).
La pandemia nelle ultime settimane è arrivata anche in Guinea Bissau; potete immaginare i problemi che il Covid-19 può portare ad uno Stato come la Guinea Bissau, povero di tutto, impreparato ad affrontare un’emergenza simile dove sono poche le strutture sanitarie, molte delle quali carenti in tutto. Ma, seppur in questa situazione, stiamo facendo del nostro meglio, soprattutto in termini di educazione, per un comportamento consapevole e responsabile: ciò vede coinvolti tutti i soggetti della società civile, insieme allo Stato ed alle organizzazioni internazionali. Ad oggi, i casi sono relativamente pochi (40 in tutto a distanza di tre settimane dal primo contagio, con nessun morto).
Ma al di la di tutto questo scenario, voglio raccontarvi storie di speranza e di vita, una in particolare. Come sacerdoti, pastori della nostra piccola comunità cristiana della parrocchia di Bubaque, nelle isole Bijagos, di fronte all’impossibilità di celebrare il triduo pasquale come comunità (infatti anche i vescovi della Chiesa guineana hanno deciso di fermare tutte le varie attività, di culto e sociali, per prevenire e limitare il contagio) abbiamo invitato le nostre famiglie cristiane (una piccola porzione rispetto alla stragrande maggioranza appartenenti alla religione tradizionale o all’islam) a celebrare la resurrezione di Gesù tra le mura della loro casa. Noi abbiamo preparato un piccolo foglio con la benedizione del fuoco, dell’acqua e il Vangelo della veglia. Ai padri di famiglia abbiamo chiesto di condurre la celebrazione. Fuoco, acqua e Parola: simboli di vita. Con il fuoco ci si protegge contro il freddo, lo si utilizza a cucinare…. L’acqua elemento fondamentale per la vita; parola, simbolo di relazioni, di incontro, di condivisione, di comunione, elementi anch’essi indispensabili affinché ci sia vita (qualche filosofo ha definito l’uomo “animale sociale”).
Se poi ci spingiamo più in là, se ci pensiamo bene, con l’acqua prepariamo l’impasto che cotto sul fuoco ci da il pane. Pane che abbracciato dalla parola di benedizione (“questo è il mio corpo…”) ci da il corpo di Cristo… In questa settimana dopo Pasqua molte volte risuonano le parole di Gesù risorto ai discepoli: “Venite e mangiate; prese del pane e lo diede loro” (Gv 21,12-13), “prese il pane, lo spezzò e lo diede loro. Allora i loro occhi si aprirono” (Lc 24,30). Parole di vita nuova, dove il miracolo sta nel fatto della condivisione del pane con l’altro mio fratello, pane a sufficienza, pane per tutti…
Ma ora ritorno a Bubaque. Da questa nostra proposta, abbiamo avuti ritorni positivi: le famiglie si sono riunite e a hanno celebrato la vigilia di Pasqua; alcuni ci hanno mandato anche le foto della celebrazione domestica.
A mio avviso, riflettendoci un po’ su, questo è un piccolo, ma importante, segno di vita e di speranza, in un momento difficile per la Guinea, per l’Africa, per il mondo, ma anche per la nostra cara e amata Chiesa. Infatti, quest’esperienza mi ha portato a riflettere sulla natura della Chiesa. Sentendo, attraverso i media, anche quello che la Chiesa sta vivendo in questo momento particolare, vedendo quello che noi stessi stiamo vivendo qui in Guinea Bissau, riscopro la Chiesa delle origini, magari costretta al silenzio o a “nascondersi” (a quel tempo a causa di una persecuzione politica, che a dire il vero alcuni nostri fratelli stanno soffrendo anche oggi in molti posti del mondo, da noi, invece, a causa di un altro tipo di “persecuzione”). Ma questo silenzio, questo nascondersi ci sta aiutando a ritornare all’essenza della nostra fede vissuta in una comunità che fa memoria e ringraziamento (Eucarestia). Un ritorno, attualizzato ai giorni d’oggi, ad una Chiesa piccola, vicina alla gente, del servizio, della fraternità e della condivisione. In questi giorni pasquali leggiamo negli Atti degli Apostoli come “la moltitudine di coloro che erano diventati credenti aveva un cuore solo e un’anima sola e nessuno considerava sua proprietà quello che gli apparteneva, ma fra loro tutto era comune. Nessuno infatti tra loro era bisognoso, perché quanti possedevano campi o case li vendevano, portavano il ricavato di ciò che era stato venduto e lo deponevano ai piedi degli apostoli; poi veniva distribuito a ciascuno secondo il loro bisogno” (At 4,32. 34-35).
Un’ulteriore riflessione mi è venuta sul tema del sacerdozio. Che nessuno mi fraintenda, non voglio sminuire il sacerdozio ministeriale di noi sacerdoti, indispensabile perché ci sia eucarestia e quindi Chiesa. Ma in questo tempo sto riscoprendo ancor di più il sacerdozio comune, di tutti noi cristiani, grazie al battesimo ricevuto. Vedendo le foto delle celebrazioni in casa, dove il capo famiglia guida il momento di preghiera, benedicendo il fuoco, l’acqua, annunciando il Vangelo (e, in qualche caso, spiegandolo) ho riscoperto un aspetto che molte volte non viene considerato: l’uguale dignità di tutti i cristiani, sacerdoti, religiosi e laici che purtroppo, molto spesso nella storia, si è voluto dimenticare per dar vita ad una Chiesa classista e clericale. Certo il ruolo dei sacerdoti è importante e necessario, unico e specifico; ma lo è anche quello degli altri membri del Corpo di Cristo (usando le parole di san Paolo).
In questo tempo “sospeso” sto riscoprendo una Chiesa fatta di persone uguali in dignità, sacerdoti tutti per via dello stesso battesimo, tutti responsabili; una Chiesa non ritualistica, del rito arido e statico, fine a se stesso, utile solo a sentirci a posto, in maniera farisaica, con la coscienza, ma celebrazione viva, sacramentale (quindi segno vivo del mistero di amore di Dio che è Padre), che abbracciano la vita quotidiana, che la penetrano e divenendone con essa un tutt’uno, dandole linfa vitale necessaria per una vita in abbondanza.
Da qui mi sono sorti altre riflessioni ecclesiologiche: ho pensato ad una Chiesa piccola e fragile, ma proprio in forza di questa piccolezza e fragilità, viva, vera, umana (di un’umanità redenta) e testimone, missionaria. Una Chiesa non del potere, del denaro, classista, ma Chiesa Popolo di Dio, Corpo di Cristo, Tempio dello Spirito Santo (che nella sua libertà “soffia dove vuole”, e noi, se stiamo attenti con gli occhi del cuore ben aperti, ne possiamo sentire la brezza cfr. Gv 3,8); una Chiesa dive tutti sono uguali perché in Gesù tutte le differenze sociali sono annullate. San Paolo ci scrive al riguardo nella lettera ai Galati (3,26-28): “Tutti siete figli di Dio per la fede in Gesù Cristo, poiché quanti siete stati battezzati in Cristo, vi siete rivestiti di Cristo. Non c’è più giudeo né greco; non c’è più schiavo né libero; non c’è più uomo né donna, poiché’ tutti voi siete uno in Cristo Gesù”. Nel fonte battesimale appaiono l’uomo e la donna nuovi, senza distinzioni, classificazioni, separazioni, intimamente uniti a Cristo (cfr. Pontificio Consiglio della Cultura).
Con questi semi di vita nuova e abbondante che ho notato in questi giorni, sementi che già, qui e ora, stanno crescendo in mezzo a noi, semi che parlano di quel Regno in cui, con gli occhi della fede, possiamo già intravvedere quel grande albero che farà ombra a tutti i tipi di uccelli del cielo (Mc 4,30-32), vi auguro un buon periodo pasquale. Che la vita nuova di cui siamo stati fatti eredi non sia solo affidata a parole stampate sul libro oppure a qualche riflessione scritta al computer o predicata in qualche omelia, ma diventi reale e viva, testimonianza, che abbracci le nostra vite in cammino verso l’incontro con il “Signore nostro e Dio nostro” (Gv 20,28).