Nella provincia indiana dove le suore di Madre Teresa due anni fa finirono nell’occhio del ciclone per le accuse di traffico di adozioni trasformate dai nazionalisti indù in una campagna generalizzata e infamante, oggi -insieme al nuovo governo locale – hanno aperto una nuova mensa per i poveri che hanno perso tutto a causa del «lockdown»
«Le suore di Madre Teresa vendono i bambini delle ragazze madri indiane». Era l’estate del 2018 e la notizia rimbalzò subito su tutti i media internazionali dopo che un’indagine della polizia del Jharkhand aveva portato a Ranchi in India al clamoroso arresto della superiora di una casa delle Missionarie della Carità. Una vicenda dolorosa che – come la superiora dell’ordine, sister Prema chiarì immediatamente in una ricostruzione dettagliata dei fatti – era frutto di un caso isolato, messo in atto da una singola dipendente laica all’insaputa delle suore. Nel contesto di un impegno quotidiano al servizio dei più poveri che solo in India conta ben 244 case delle Missionarie della Carità.
Queste spiegazioni servirono però a poco. Anche perché nella fretta con cui i media generalisti si buttano su queste notizie pochissimi si presero la briga di andare a capire il contesto del Jharkhand, uno degli Stati indiani dove la presenza dei cristiani tra le popolazioni tribali sta crescendo maggiormente (sono il 4,3 per cento oggi, circa il doppio della media nazionale). E dove questo è guardato con grande rabbia dai movimenti nazionalisti indù, guarda caso in quel momento al governo a Ranchi con il loro partito Bjp. Così nessuno – allora – si fece grandi domande sulle proporzioni smisurate dei provvedimenti messi in atto dalle autorità locali con la chiusura di tutte le case delle suore di Madre Teresa che avevano a che fare con i bambini, un’inchiesta su di loro a livello federale (che non avrebbe fatto emergere nulla) e addirittura una stretta generalizzata alle attività di tutte le ong cristiane nel Jharkhand. Il tutto mentre la superiora della casa delle Missionarie della Carità a Ranchi, suor Concilia Baxta, restava in carcere senza nemmeno la formulazione di un’accusa precisa nei suoi confronti. E vi è rimasta per più di un anno, fino al settembre 2019.
Proprio per questo motivo diventa molto significativa una notizia arrivata in queste ore dal Jharkhand e diffusa dall’agenzia UcaNews: durante la Settimana Santa, nel pieno dell’emergenza Coronavirus, a Ranchi ha aperto una mensa per i poveri gestita dalle Missionarie della Carità ma realizzata con il sostegno del governo locale. Si tratta infatti di uno degli interventi in favore delle migliaia di persone che la chiusura delle attività contro il diffondersi del Covid-19 ha da un giorno all’altro privato di lavoro e ogni possibilità di sostentamento. Va detto che il cambiamento di atteggiamento delle autorità non è casuale: nel dicembre scorso nel Jharkhand vi sono state le elezioni locali e questa volta il Bjp ha perso; per cui al governo a Ranchi oggi c’è un partito – il Jharkhand Mukti Morch – che perlomeno non è pregiudizialmente ostile ai cristiani.
È un bel segno di rinascita in questa Pasqua difficile anche per i cristiani dell’India. Le Missionarie della Carità riscoperte nel loro volto autentico: quello del servizio disinteressato ai poveri, in qualunque circostanza e mettendo il bene loro davanti alla propria stessa vita. Del resto in questi stessi giorni – a qualche migliaio di chilometri di distanza – una suora di Madre Teresa originaria proprio del Jharkhand, suor Sienna, è morta a Swansea, in Gran Bretagna, dopo aver contratto il Coronavirus continuando a portare da mangiare ai più poveri. Perché «la carità è paziente, è benigna la carità; non è invidiosa la carità, non si vanta, non si gonfia, non manca di rispetto, non cerca il suo interesse, non si adira, non tiene conto del male ricevuto, non gode dell’ingiustizia, ma si compiace della verità. Tutto copre, tutto crede, tutto spera, tutto sopporta. La carità non avrà mai fine» (1 Corinzi 13).