Cresce la preoccupazione nelle Filippine per il diffondersi dell’epidemia, che è arrivata anche a Mindanao. L’appello del presidente della Conferenza episcopale: «Non dimentichiamoci dei poveri in questa emergenza»
La giornata di giovedì 12 marzo sembra aver segnato una svolta nella percezione e nella risposta alla diffusione del Coronavirus nelle Filippine. In stretta sequenza si sono infatti succedute le nuove indicazioni della Chiesa locale riguardo le attività pubbliche e la Messa in sicurezza dell’area metropolitana di Manila, mentre i dati ufficiali indicavano un balzo nei contagi: 8 i morti da Coronavirus e 98 i casi accertati al 14 marzo di cui alcuni anche nell’isola meridionale di Mindanao, l’area più povera del Paese. Va tenuto presente che si tratta di dati per molti ampiamente sottostimati, nella scarsità di controlli e di ricoveri. Vero è che le autorità avevano da tempo limitato gli accessi attraverso le vie aeree da Paesi o aree sicuramente colpite, ma in un contesto di densità demografica e sentita socialità per settimane la presenza del contagio sembrava essere stata sostanzialmente simbolica. E le iniziative di contenimento si erano fermate alla parziale chiusura di attività scolastiche e accademiche e a una coscienza diffusa del rischio, mentre al momento le autorità sanitarie dispongono di soli 2.000 kit per l’accertamento del contagio, con altri 2.000 richiesti all’Organizzazione mondiale della Sanità.
Nelle ultime ore è invece arrivata la chiusura dell’area metropolitana della capitale che conta almeno 13 milioni di abitanti in un agglomerato di 16 diverse città e una municipalità. Si tratta dell’area urbana a più alta densità dell’intero arcipelago, Rodrigo Duterte ha anche anticipato la possibilità ci chiedere aiuto alla Cina per contenere il contagio, accettando così la mano tesa del presidente cinese Xi Jinping. Dal 15 marzo e fino al 14 aprile l’intera regione dovrebbe restare isolata da ogni comunicazione terrestre, marittima e aerea e vi saranno proibiti assembramenti, ma vi sono già forti dubbi sull’efficacia date le troppe eccezioni previste nel decreto.
Anche le diocesi dell’area metropolitana di Manila hanno deciso di cancellare le Messe, mentre nel resto del Paese rimangono le disposizioni già date dalla Conferenza episcopale: la distribuzione dell’Eucaristia può avvenire soltanto attraverso le mani e chi la distribuisce deve indossare la mascherina. Previsto un cambio frequente dell’acqua nelle acquasantiere e possibile stop all’uso se necessario; indicata la pulizia frequente delle statue, la proibizione delle strette di mano e chiesto l’utilizzo di strumenti protettivi nei confessionali. Sul piano pastorale i vescovi invitano a recitare durante tutte le celebrazioni la preghiera (oratio imperata) contro la diffusione del virus. Mentre il presidente della Conferenza episcopale, l’arcivescovo Socrates Villegas, ha rivolto un appello a «non dimenticarsi dei poveri in questa emergenza»
Anche nelle Filippine si sono registrati casi di contagio in uffici governativi e diversi senatori nei giorni scorsi si erano messi in quarantena volontaria con loro dipendenti, come pure la figlia del presidente Duterte, che è sindaco della grande città meridionale di Davao. La situazione complessiva, come pure il diffondersi della paura tra la popolazione che ha portato in breve tempo all’esaurimento delle scorte di mascherine e altri strumenti di protezione dal contagio, ha incentivato la mossa della chiusura dell’area metropolitana di Manila.
Duterte – che ha 74 anni e la cui salute da tempo suscita interesse e preoccupazione – ha deciso di sottoporsi al test per accertare la sua eventuale infezione da coronavirus che segnerebbe definitivamente forse sue capacità di gestire il Paese, al di là della sanguinosa lotta alla droga costata migliaia di vittime e di fatto inefficace davanti all’entità e capillarità del problema in un contesto che mantiene alti livelli di povertà, disoccupazione e violenza. L’arcipelago filippino, che mostrava segni importanti di recupero dalla crisi globale dell’ultimo decennio, rischia di risentire fortemente del contagio e di scendere al di sotto del sei per cento di crescita prevista per il 2020, togliendo importanti risorse da destinare al welfare dei suoi 110 milioni di abitanti.