Ieri il Messico per la prima volta nella sua storia ha vissuto la festa della Madonna di Guadalupe con i cancelli del grande santuario sbarrati. Padre Alessandro Maraschi, missionario del Pime a Ecatepec: “Eppure il miracolo della fede (e della responsabilità) non è venuto a mancare”
Ore 23:00 dell’11 dicembre. Metto i tappi per le orecchie e infilandomi sotto le coperte rendo l’ultimo saluto alla giornata. In Messico le notti prima delle feste religiose sono costellate da una pioggia incessante di petardi per festeggiare il “santo”. La Virgen de Guadalupe è una delle feste per eccellenza ed è dunque la notte dei botti per eccellenza.
Mattina del 12 dicembre. Apro gli occhi e il primo pensiero è lo stupore per quanto sia stata tranquilla la nottata. Mi domando perché mi stupisca così tanto. Una settimana fa è stata annunciata la chiusura del santuario dal 10 al 13 dicembre. Prima volta nei suoi oltre 400 anni di storia. Questo fatto da solo poteva far intuire la straordinarietà di quest’anno. Invece la chiusura per quanto straordinaria, non ha colto nessuno di sorpresa. In questo momento non è immaginabile lasciare spazio ad un evento di queste dimensioni.
L’anno scorso nelle stesse date sono passati per il santuario quasi 10 milioni di pellegrini e hanno sostato sul piazzale davanti alla basilica circa 5000 tende da campeggio. Il Messico in questo momento si trova nella “seconda ondata”, meglio chiamarlo il “secondo gradone”, visto che non c’è mai stato un momento in cui si sono abbassati i numeri dei contagi. Chiudere il santuario è apparso a tutti una saggia idea.
La sorpresa per me di questa notte tranquilla è che nessuno ha vietato i botti. Meglio ancora, nessuno ha vietato i ritrovi in cui vengono solitamente fatti esplodere i petardi. La linea politica continua ad essere quella del “vietato vietare”, della massima fiducia nella responsabilità delle persone, anche se poi questa stessa strategia risulta comoda per scaricare le colpe sulla gente, quando la situazione comincia a scappare di mano.
Ma le sorprese erano solo all’inizio. Arrivo ad Ecatepec di buon mattino. Zona nord di Città del Messico, dieci minuti dal santuario della Virgen de Guadalupe. La prima Messa la celebro lungo i binari del treno, dove vivono centinaia di famiglie molto umili. In giro quasi nessuno indossa la mascherina; eppure, appena arrivano davanti al gazebo dove è stato allestito l’altare, tutti tirano fuori la mascherina e si siedono tra i binari ben distanziati. Celebriamo una bella Messa e una volta terminata, ci si scambia qualche bicchiere di aranciata e niente più. Ci salutiamo e mi dirigo alla seconda Messa. Cambia il luogo, ma il risultato non cambia.
A fine giornata, svariate Messe dopo, in un numero impensabile anche per il diritto canonico, quella che era iniziata come una sorpresa, è diventata una piacevolissima costante: abbiamo pregato, celebrato Messe, benedetto litri e litri di acqua e centinaia di statue e quadri della Virgen de Guadalupe come ogni anno, ma al tempo stesso abbiamo evitato tutte quelle abitudini che avrebbero potuto mettere a rischio la salute.
Non so neanch’io bene come spiegarmelo, se non con il fatto che il Vangelo per sua natura ti apre al bene per te e per gli altri, insieme. Una festa così impregnata di Vangelo, non poteva che vivere di questo stile. Dovevo viverlo anch’io sulla mia pelle, per ricordarmi la sua forza umanizzante. La festa della Virgen de Guadalupe del 2020 verrà ricordata probabilmente per i cancelli chiusi del santuario, per l’assenza delle folle oceaniche in pellegrinaggio, eppure sono propenso a pensare che anche quest’anno il miracolo non sia mancato: un miracolo silenzioso e sotto gli occhi di tutti, che non piega le leggi della natura, ma che apre alla speranza della solidarietà. Il miracolo della “responsabilità sociale”. Un miracolo ordinario.