Isole del Pacifico: dove la pandemia non c’è ma comunque si vede

Isole del Pacifico: dove la pandemia non c’è ma comunque si vede

Fiji, Palau, Salomone, Samoa, Tonga, Vanuatu: sono tutte isole dove i casi di Coronavirus sono praticamente inesistenti. Ma il crollo del turismo sta aggravando una situazione che già i cambiamenti climatici negli ultimi anni stavano rendendo difficile

 

C’è un’area del mondo sostanzialmente aggirata dalla pandemia in corso; eppure ne subisce ugualmente pesanti contraccolpi economici e non solo. Fiji, Palau, Salomone, Samoa, Tonga, Vanuatu: nelle isole del Pacifico i casi di Coronavirus sono quasi inesistenti… Una decina di Stati dell’area vivono oggi nel timore del contagio che sarebbe devastante se si concretizzasse, ma già in un limbo dettato da pesanti limitazioni imposte ai trasporti e ai commerci e ancor più al sostanziale blocco del turismo, per molti la fonte primaria di reddito.

Così è, ad esempio per Samoa e Tonga, dove l’indotto turistico contribuisce fino al 30 per cento del Prodotto interno lordo (Pil), mentre per Fiji, Palau e Samoa, rappresenta la principale possibilità di impiego per la popolazione, oltre che la maggiore fonte di valuta. Per alcuni di questi e altri, la ridotta domanda globale colpisce la dipendenza dal ricavato della vendita di materie prime – come petrolio e gas – e ovunque il settore della pesca e agrario fatica a reggere la contrazione della domanda e degli scambi.

Per sostenere le loro economie in difficoltà e così preparare una ripresa, questi Paesi dovrebbero utilizzare risorse per sostenere i gruppi di popolazione più colpiti ma nella maggioranza dei casi questo non è possibile per la scarsità di risorse ma anche per un altro fattore che da tempo va determinando il loro destino. Da anni, infatti, queste isole lottano contro gli effetti dei cambiamenti climatici che non solo costringono a modificare abitudini di vita e attività economiche tradizionali, ma minacciano direttamente, con l’innalzamento delle maree e dei moti ondosi, la stessa esistenza delle isole più basse sul livello del mare.

Un’eccezione è la Nuova Guinea, l’immensa isola la cui parte orientale, la Papua-Nuova Guinea indipendente, appartiene all’Oceania, mentre quella occidentale all’Asia in quanto estrema propaggine dell’Indonesia. Il suo territorio è nella maggior parte immune dall’influenza diretta dell’oceano, ma la sua principale ricchezza – quella del sottosuolo, petrolio incluso – accusa forti ribassi sui mercati a favore delle economie importatrici, ma con profitti in picchiata per un Paese già tra i più poveri dell’Asia-Pacifico.

Tra le poche risorse di cui dispongono le economie isolane, l’emigrazione di una parte della loro forza-lavoro garantisce normalmente una parte consistente del Pil nazionale: il 10% di media per la regione, ma che sale al 15% a Samoa e alle Marshall, per arrivare al 40% a Tonga.

Spesso alle prese con eventi naturali devastanti ma anche segnate da crisi ricorrenti perché troppo dipendenti dalle congiunture internazionali, gli stati isolani hanno nel loro Dna la capacità di ripresa. Ma in questo caso – segnalano gli analisti – la situazione potrebbe non garantire un pieno recupero e comunque occorrerà tempo. Molto dipenderà, ad esempio, dalla riattivazione dei servizi aerei; attualmente la gravissima crisi del settore sta mettendo in ginocchio buona parte delle compagnie regionali, con alcune a rischio di scomparsa.

Anche le istituzioni finanziarie internazionali si sono mobilitate per attenuare le difficoltà delle nazioni del Pacifico nella crisi e sostenerne un recupero nel prossimo futuro. Tra gli altri, il Fondo monetario internazionale ha reso disponibili finora 643 milioni di dollari per la regione.

 

Foto: Flickr / Snapboot