Dall’Amazzonia il racconto di padre Sisto Magro, missionario del Pime: «Siamo lo Stato brasiliano più colpito tenendo conto della proporzione tra morti, positivi e numero totale di abitanti». L’ospedale voluto da Marcello Candia fa quello che può di fronte a migliaia di casi di Covid19. E l’agrobusiness approfitta della situazione per occupare nuove terre perché «chi deve controllare ora è più assente di prima»
Ci sono ferite che non si sono mai rimarginate che sono tornate a sanguinare. Anzi, oggi, per colpa del coronavirus, il sangue pare sgorgare ancora più che in passato. E’ l’immagine che usa padre Sisto Magro, missionario del Pime che da anni presta il suo servizio a Macapà, nel Nord del Brasile, capitale dello Stato dell’Amapà, uno dei centri più grandi e importanti dell’immensa Foresta Amazzonica. La fotografia della situazione attuale nella città e nello Stato non è di certo delle migliori: “Situazione estremamente complessa. Siamo lo Stato più colpito tenendo conto della proporzione tra morti, positivi e numero totale di abitanti”, racconta padre Sisto. Il bollettino ufficiale delle ultime ore recita così: 2910 casi, 86 morti. “Molti, troppi per uno Stato così piccolo di appena 800mila abitanti”. Per di più questa fotografia ha i dettagli sfuocati, perché come in tutto il resto del Brasile, i numeri non descrivono la realtà e alle fonti ufficiali scappano centinaia e centinaia di morti e di casi positivi.
“Soprattutto nelle aree più interne, dentro la foresta, lontane dalla città. Prima il virus era circoscritto, ora si sta diffondendo pericolosamente anche in queste zone, colpendo i comuni e i villaggi più remoti”, aggiunge padre Sisto (nella foto). Che è il coordinatore della Comissão Pastoral da Terra (Cpt) della Diocesi di Macapá e quindi conosce bene le difficoltà delle regioni più intime dell’Amapà. Dove il virus sta facendo un triplice danno: alla crisi sanitaria si è aggiunta quella sociale, dovuta alla chiusura delle attività commerciali. “E poi gli invasori di terra se ne approfittano, perché chi deve controllare ora è più assente di prima. Gli impresari dell’agrobusiness si stanno dando molto da fare e il loro lavoro sporco è oscurato dall’emergenza del virus, per cui nessuno se ne accorge. Invece stanno avanzando, stanno disboscando. Continuano a sottrarre terra pubblica, continuano a occupare le proprietà dei piccoli agricoltori che non hanno mezzi e voce per ribellarsi”.
E gli ospedali non riescono a fare fronte all’emergenza. “Appunto, sono ferite che non si sono mai rimarginate. Lo Stato dell’Amapà non è certo noto per essere un avamposto in tema di salute. I posti letto erano scarsi prima, figuriamoci oggi”, racconta padre Sisto. Nella città di Macapà ci sono due ospedali, quello pubblico e quello dedicato a Marcello Candia, che lì lavoro fianco a fianco con monsignor Pirovano. “Non sono preparati. Nell’ospedale statale è stato allestito un posto di emergenza, io non ho il coraggio di dargli questo nome, perché in realtà è una specie di tendone. Stanno organizzando altre strutture simili anche al Nord e al Sud della città. Ma è chiaro che i mezzi sono insufficienti. A Macapà da anni circola una barzelletta che aiuta a rendere l’idea: si dice che qui i migliori ospedali siano gli aerei, perché grazie a quelli si può viaggiare fino a Recife, Belem, oppure anche San Paolo, dove gli ospedali esistono veramente. E pensare che oggi gli aerei sono bloccati”.
I missionari del Pime restano in prima linea e l’impegno è quotidiano. “Abbiamo ricevuto una cospicua offerta che ci ha permesso di acquistare ceste basiche da donare alle famiglie più in difficoltà. Padre Dennis Koltz e io abbiamo già contattato i responsabili di alcuni accampamenti che sono all’interno della foresta. Consegneremo a loro le ceste in modo che poi possano essere distribuite alle famiglie. Il bisogno è grande, ci muoviamo come possiamo; noi, così come le parrocchie, le fondazioni e gli enti del terzo settore”.