A 20 anni dall’appello del Giubileo contro gli interessi che soffocano lo sviluppo dei Paesi poveri, oggi il debito internazionale torna a preoccupare. E il Coronavirus ha posto nuovamente il problema. Cinque domande e cinque risposte su questo tema con Riccardo Moro, economista, già responsabile della Campagna Cei sul debito del 2000
Come nasce la questione del debito?
Nel 2000 una grande campagna chiese ed ottenne la cancellazione del debito internazionale di 52 tra i Paesi più poveri del mondo, costretti a ricevere prestiti particolarmente onerosi da Paesi industrializzati o istituzioni finanziarie per promuovere il proprio sviluppo. Molto importante fu l’appello di Giovanni Paolo II che – ispirandosi all’idea biblica di giubileo che prevedeva la cancellazione dei debiti come segno di un nuovo inizio – chiese che questo diventasse uno dei gesti del Giubileo del Duemila. Anche la Chiesa italiana aderì a questo appello concentrando l’attenzione sul debito bilaterale che due Paesi africani – lo Zambia e la Guinea Conakry – avevano contratto col nostro Paese. Nel 2005 il G7 – il gruppo dei sette Paesi più industrializzati – cancellò debiti per 40 miliardi di dollari, cui negli anni successivi se ne aggiunsero altri 130 condonati da istituzioni finanziarie.
Perché il problema oggi si ripresenta?
Il peso del debito oggi non è forte come allora, ma per molti Paesi sta tornando alto. È un debito dalle caratteristiche un po’ diverse: le operazioni di riduzione compiute a partire dal 2000 hanno permesso ai Paesi poveri di tornare a contrarre debiti sul mercato internazionale privato, come è normale che sia. Nessuno Stato, infatti, può vivere senza: per costruire strade o infrastrutture occorre liquidità che deve essere disponibile tutta insieme.
È lo stesso motivo per cui una famiglia contrae un mutuo per comprare la casa. Il problema del 2000 era che i debiti accumulati erano così pesanti e frutto di rapporti così ingiusti da rendere impossibili non solo nuovi investimenti ma la stessa spesa corrente, cioè quella che va a finanziare il funzionamento ordinario delle scuole, degli ospedali e degli altri servizi pubblici.
Che cosa non ha funzionato?
L’azione del 2000 prevedeva meccanismi di controllo sui nuovi debiti (responsabilità del prestatore, vincoli all’uso concordato dei fondi…). Sono però entrati in gioco nuovi attori che non hanno seguito queste linee. La Cina, per esempio, per favorire i propri interessi ha cominciato a offrire soldi facili. Ma anche i cosiddetti “fondi avvoltoio”, società che comprano dalle banche debito a scadenza e poi ricorrono a strumenti di diritto privato per farselo rifondere. Il risultato è che la quota del debito in mano a “prestatori storici” – attori pubblici dell’Occidente, banche regionali di sviluppo, istituzioni finanziarie… – oggi è meno alta di un tempo. E questo rende più difficile avere un panorama chiaro della situazione. Senza dimenticare che dall’altra parte della scrivania spesso vi sono leader con scarso senso di responsabilità nel gestire le finanze.
Che cos’è successo con il Covid-19?
C’erano già movimenti che chiedevano un intervento sul debito. Col Coronavirus e la difficoltà di tanti di questi Paesi a fare fronte alle spese sanitarie rese necessarie dall’emergenza la sollecitazione è diventata ancora più forte. Anche Papa Francesco ha lanciato un appello in proposito nel suo messaggio di Pasqua. E c’è stato un primo passo importante: il G20 e il Fondo monetario internazionale hanno assunto l’impegno a cancellare il pagamento delle rate 2020 del debito, estendendo anche ai creditori privati l’invito a fare altrettanto.
È una prima misura ma è provvisoria: deve diventare la premessa all’avvio di un nuovo negoziato generale, per arrivare anche ad altre cancellazioni. Che devono andare di pari passo con interventi straordinari per aiutare i Paesi più poveri a fare fronte ai nuovi bisogni creati dalla pandemia.
Quali sono i prossimi passi da fare?
Un appuntamento importante sarà l’Assemblea generale dell’Onu a settembre. Già prima del Coronavirus le reti della società civile si stavano attivando per rilanciare gli Obiettivi di sviluppo, l’agenda che le Nazioni Unite si sono date per il 2030 su temi cruciali come la fame, l’educazione, la sanità, la lotta alla povertà, il lavoro… La questione debito si intreccia con tutto questo. Occorre però attenzione nella gestione politica di questa partita. Se per esempio la Cina oggi è uno dei principali creditori, bisognerà certamente chiedere che si faccia carico della cancellazione almeno di una parte di questo debito. Ma bisognerà anche stare attenti a come questo discorso andrà a inserirsi negli equilibri geopolitici attuali. Perché l’obiettivo deve restare l’attenzione allo sviluppo; non deve diventare un pretesto per altre battaglie di tipo economico o politico.