Sri Lanka, la quarantena con gli ex lebbrosi

Sri Lanka, la quarantena con gli ex lebbrosi

Un gruppo di turisti provenienti da Paesi a rischio ha trascorso il periodo di isolamento in un lebbrosario vicino a Colombo. Scoprendo dalle storie di chi è guarito che il morbo di Hansen non è solo un ricordo del passato. Il responsabile di Leprosy Mission: «Chiamare il Coronavirus “la lebbra del XXI secolo” non fa che rafforzare uno stigma senza senso»

 

Anche lo Sri Lanka come tutto il mondo sta vivendo l’emergenza Coronavirus. Attualmente i contagiati nell’isola sono 567 e 7 i morti, concentrati soprattutto nell’area della capitale Colombo. Nel Paese il lockdown e il blocco economico proseguono fino al 3 maggio.

Al di là del dato di cronaca c’è però una storia interessante che arriva da questo Paese e rimanda ai primi giorni dell’emergenza. Una storia che ha a che fare con i tanti volti dimenticati del mondo che l’epidemia sta aiutando a riscoprire. Lo Sri Lanka è un Paese a forte vocazione turistica e dunque del Coronavirus si è cominciato a parlare quando nel Paese l’allarme per viaggiatori provenienti dall’Europa o da altri Paesi dove la malattia si stava diffondendo.

Sono stati posti immediatamente in quarantena. Ma la prima struttura loro destinata è stata l’ex lebbrosario di Hendala, alla periferia della capitale. Proprio questa circostanza, però, ha fatto sì che molti venissero a sapere che quella struttura non è solo un ricordo del passato: nell’ospedale vivono infatti ancora persone guarite che portano sulla loro pelle le cicatrici della lebbra.

A raccontare questa storia è stata Leprosy Mission, un’ong internazionale cristiana che nel mondo anglosassone si occupa di quanti tuttora soffrono per questa malattia. Come noto dal 1982 la lebbra è una malattia completamente curabile con la terapia multi-farmaco, ma è una malattia che fa ancora paura. Molti hanno visto le terribili disabilità, tra cui la perdita della vista, che una persona può sviluppare se viene lasciata senza cure.

Sian Arulanantham, il responsabile dei progetti della Leprosy Mission, ha spiegato che sono le 32 persone curate dalla lebbra che vivono ancora nel lebbrosario di Hendala, dove in passato erano stati imprigionati anche 900 pazienti. Gli abitanti del lebbrosario Hendala ricordano ancora di essere stati ammanettati e arrestati dalla polizia.

«Questi 900 pazienti erano molto temuti ed evitati dalla società – racconta Sian -. Sono stati portati via dalle loro famiglie e non le hanno mai più viste, per contenere la diffusione della malattia. In seguito all’introduzione della terapia multi-farmaco negli anni ’80, i pazienti sono stati curati e non è stato più necessario separarli dalla società, ma non avevano nessun posto dove andare. La loro lebbra non curata per tanto tempo avevano sviluppato in loro disabilità; per questo avrebbero comunque subito discriminazioni al di fuori delle mura dell’ospedale. Il governo dello Sri Lanka è stato gentile con i residenti del lebbrosario di Hendala, ormai soprattutto anziani, garantendo che rimarrà la loro casa e comunità per il resto dei loro giorni».

La Leprosy Mission ha fornito ai residenti del lebbrosario di Hendala la formazione per lavorare nel laboratorio locale di falegnameria. «Ho visitato Hendala ed è un posto felice dove i pazienti sono diventati le famiglie gli uni per gli altri», ha detto Sian.

«Ogni volta che c’è una nuova epidemia, come il coronavirus, temo sempre che si faccia il confronto del tutto inopportuno con la lebbra. Il mio cuore è sprofondato quando ho letto l’inevitabile titolo che “il coronavirus è la nuova lebbra”. Non fa che sottolineare la paura inutile e lo stigma che circondano la lebbra. C’è qualcosa di ironico nel fatto che le persone messe in quarantena dopo l’esposizione al coronavirus e quelle che portano le cicatrici della lebbra vivano l’una accanto all’altra. Sebbene non vi sia contatto tra i due gruppi, entrambi sono soggetti alla paura e all’ignoranza fuori dalle mura dell’ospedale. Ma solo la paura, l’ignoranza e la mancanza di accesso all’assistenza sanitaria rendono possibile alla malattia più antica del mondo di rimanere tra le malattie del ventunesimo secolo».

La dottoressa Joy Sabanathan è un’otorinolaringoiatra in pensione del Kingston General Hospital, vive a Worcester Park, nel Surrey. Oggi settantasettenne ha una casa anche nella sua nativa Jaffna. Ha lavorato al lebbrosario di Hendala negli anni ’70, quando non esistevano cure per la lebbra. Ora è una volontaria della Leprosy Mission a Jaffna, per un progetto di rilevamento della lebbra. «Non ero per niente preoccupata di contrarre la lebbra quando lavoravo a Hendala – spiega -. Sebbene non fosse curabile all’epoca, la lebbra non è una malattia altamente contagiosa e io ero giovane e sana. Ho lavorato con i pazienti, vivevo con loro, li toccavo e mi prendevo cura di loro».

La dottoressa Sabanathan ricorda che i malati di lebbra erano tenuti separati e vivevano in reparti maschili e femminili, per cercare di evitare la diffusione della malattia alle generazioni future. Ma naturalmente alcune relazioni sono sbocciate. «C’era una coppia che si è incontrata a Hendala che ha poi avuto due figli. Uno di loro ha contratto la lebbra e l’altro no. Quindi uno è potuto uscire dall’ospedale e sposarsi e l’altro vive ancora lì».