In Guatemala uno dei casi di positività al Covid19 è un uomo imbarcato su un charter in Arizona il 26 marzo. Intanto 27000 «dreamers» – arrivati illegalmente come minori negli Usa e dunque a rischio di espulsione per la politica adottata da Trump – lavorano in prima linea negli ospedali americani tra i pazienti affetti dal virus
Il migrante ha portato la malattia. Non però negli Stati Uniti, ma nel suo Paese d’origine dove il governo di Washington l’ha rimandato con uno dei charter delle espulsioni per gli illegali. Voli che – nonostante il dramma del Coronavirus – non si sono affatto fermati. È la storia che sta emergendo in queste ore in Guatemala, dove un uno dei pazienti registrati come positivi al Covid19 in realtà nel Paese era arrivato appena 48 ore prima con una quarantina di altri connazionali espulsi dagli Stati Uniti.
L’uomo in questione era stato fermato il 5 marzo e portato all’Imperial Regional Adult Detention Center di Calexico in California. Da qui il 17 marzo era stato poi trasferito al Florence Detention Center in Arizona da dove poi il 26 marzo è stato imbarcato su un volo per il Guatemala all’aeroporto di Mesa. L’Ice – l’agenzia americana per l’immigrazione – sostiene che a tutti i passeggeri sia stata misurata la febbre prima dell’imbarco e che dunque il migrante in questione doveva essere asintomatico. Sta di fatto, però, che appena due giorni dopo in Guatemala è stato trovato positivo al Covid19 e tutto lascia pensare che il contagio sia avvenuto negli Stati Uniti, dove oggi i casi di Coronavirus accertati sono ormai vicini a quota 200 mila.
A rendere la vicenda ancora più amara è il fatto che le associazioni per la difesa dei diritti dei migranti negli Stati Uniti da settimane stanno sollevando la questione dell’esposizione al virus nei centri di detenzione dove vengono condotti i migranti trovati non in regola con i documenti. Per questo motivo avevano espressamente chiesto la sospensione delle espulsioni. Ma l’Ice aveva risposto con una dichiarazione ambigua in cui affermava che i rimpatri sarebbero avvenuti «solo per i casi più pericolosi per a sicurezza», una definizione che lascia un margine di discrezionalità molto ampio vista la retorica che circonda la politica di Trump sulla lotta all’immigrazione.
Nel frattempo – poi – l’Ice si è accordata con il Dipartimento di Stato per utilizzare gli stessi aerei impiegati per le espulsioni anche per il rimpatrio dei cittadini americani che dai Paesi del Centramerica vogliono rientrare negli Stati Uniti per l’emergenza. Così, mentre nella prima parte del mese le espulsioni verso il Guatemala erano effettivamente state interrotte, negli ultimi giorni sono ricominciate. E il sospetto è che – molto semplicemente – non si sia voluto far partire vuoti gli aerei.
Tutto questo succede proprio mentre negli Stati Uniti emerge tutta la contraddizione della battaglia di Donald Trump contro i Dreamers, i circa 700 mila giovani latinos arrivati da bambini illegalmente negli Stati Uniti ma che – anche senza i documenti in regola – si sono inseriti nella società americana. Tra loro ben 27000 lavorano nelle professioni sanitarie, che esattamente come in Italia anche negli Usa oggi sono in prima linea e con carenza di mezzi a fare i conti con l’epidemia di Covid19. Rischiano la vita per salvare quella degli americani; eppure in teoria potrebbero essere espulsi in ogni momento dagli Stati Uniti. Consapevole di questa contraddizione l’Ice ha assicurato che in queste settimane non verranno compiuti controlli sui documenti nelle aree degli ospedali. Il che resta però un po’ poco come forma di riconoscenza.