La pandemia di Coronavirus in Italia vista dai giovani cinesi di seconda generazione: il racconto di Lala Hu nel suo nuovo libro
Si intitola Semi di tè (People, pp. 126, euro 14) il nuovo libro di Lala Hu, milanese di origini cinesi, docente di marketing all’Università Cattolica di Milano, tra i relatori del convegno “Un’altra Cina: tempo di crisi, tempo di cambiamento” organizzato il 3 ottobre al Centro Pime di Milano. Sullo sfondo dei mesi terribili della pandemia di Covid-19, il libro, di cui anticipiamo un brano in queste pagine, narra le esperienze di sinoitaliani nell’affrontare l’emergenza, intrecciando le storie di persone diverse ma legate dall’appartenenza a due culture, e presentando uno spaccato variegato che spazza via molti stereotipi.
Le misure restrittive ebbero conseguenze per la vita di tutti. Il lockdown comportò la compressione di molte libertà e provocò anche gravi danni economici. Tutti i negozi, i bar e i ristoranti dovettero chiudere, e così anche Wudi chiuse il negozio di tè che aveva aperto a Milano meno di un anno prima. Un posto piccolo ma curato ed elegante, dove era possibile acquistare una gran varietà di tè e degustarlo seduti intorno a tavolini di legno, circondati da tante piante e mobili artigianali.
Wudi aveva intrapreso lo studio del tè in Cina più di cinque anni prima, durante un’estate trascorsa a Suzhou, la cosiddetta “Venezia cinese”. Poi aveva continuato in altre province cinesi, diventando una sommelier del tè. A Milano aveva avviato delle collaborazioni con enti culturali per organizzare cerimonie del tè e degustazioni, fino a quando con un’amica non aveva deciso di aprire un negozio dedicato alla bevanda dalla storia millenaria, che risale a più di 4.000 anni fa. Un giorno chiesi a Wudi quanto tempo è necessario per imparare l’arte del tè. «Servono lunghi anni e pazienza» mi rispose. «L’arte del tè, chayi, rappresenta solamente la parte estetica del più ampio sistema culturale del tè cinese. Poi c’è la parte filosofica e spirituale, il chadao, che richiede costante studio». In chadao, la via del tè, l’ideogramma dao è lo stesso della parola “taoismo”, chiamato anche “dao-ismo”, la dottrina filosofica cinese che si diffuse dal VI secolo a.C.
La via del tè individua un percorso del vivere bene, che comprende una parte teorica e anche una pratica. La prima raccoglie i saperi che indicano come scegliere e gustare le varianti della pianta del tè, mentre la seconda si riferisce alla pratica di socializzazione in cui tecniche rituali e percezione introspettiva definiscono lo spazio dell’incontro del tè. Un elemento importante che caratterizza il tè è il suo essere calato nella quotidianità. Può far parte della vita degli intellettuali così come di quella delle persone comuni. I poeti bevono il tè per stimolare l’espressione artistica. I monaci per risvegliare e raffinare l’esercizio spirituale. E le persone comuni per omaggiare gli ospiti o per nutrire la propria pace interiore.
In quei giorni ancora freddi di inizio marzo Wudi era a casa e, mentre sorseggiava un tè verde, che generalmente favorisce la riflessione, pensò a quel momento di sospensione. Il suo negozio era chiuso e con il gruppo di narratori non era stato più possibile organizzare incontri dalla Giornata della lingua madre. Usciva solamente per andare a fare la spesa vicino a casa, nel quartiere Brenta a sud di Milano. In quelle occasioni, notò che quasi nessuno portava la mascherina. Wudi lo aveva fatto da subito, sin dalla comparsa dei primi focolai. Nei Paesi asiatici indossare una protezione per il volto è un’abitudine comune, adottata per evitare di contagiare gli altri durante uno stato influenzale o per proteggersi dall’inquinamento. In Occidente invece, prima del Covid-19 e anche nel primo periodo della sua diffusione, la mascherina veniva associata ai portatori della malattia. All’essere untori. Agli inizi del lockdown, le indicazioni dell’Oms e della maggior parte dei governi dei Paesi occidentali stabilivano che la mascherina dovesse essere usata solo dalle persone infette. Ma dagli studi emergeva che i contagiati potevano anche essere asintomatici.
Se non sai di essere malato non ti proteggi, ma in questo modo non proteggi neanche chi ti sta vicino.
Questa condizione di insicurezza turbò Wudi. Negli ultimi anni, nel superare lei stessa una malattia, aveva imparato che affidarsi al sistema sanitario composto da medici e infermieri che si prendono cura di te era fondamentale. Forse anche lei poteva fare qualcosa in quel momento, attraverso dei piccoli gesti. Wudi aveva ancora qualche mascherina a casa, ma le farmacie del suo quartiere le avevano esaurite da oltre un mese. Cercò allora su internet come riuscire a ordinare qualche confezione. Dopo qualche ricerca, riuscì a trovare un venditore on line che poteva spedire delle mascherine in tempi rapidi. Così, senza pensarci troppo, fece un ordine di trecento mascherine chirurgiche pagandole circa duecento euro. Fu un’azione d’impulso. Wudi non aveva chiaro in mente a chi le avrebbe date, ma l’intenzione era quella di regalarne un paio a ciascuna delle persone che conosceva o che avrebbe incontrato. Trascorse una settimana e finalmente arrivò la merce. Wudi aprì una confezione e tirò fuori alcune mascherine per metterle in borsa dopo averle disinfettate e inserite in singoli pacchettini.
Suo marito era scettico. Condivideva l’intento di Wudi, ma non si aspettava che le persone avrebbero accettato il dono. E invece accadde. Wudi cominciò a distribuire le mascherine poco alla volta per la strada, vicino alla farmacia o al supermercato. Le donava soprattutto alle persone con più di sessant’anni che incrociava. Che strano, prima della pandemia non aveva mai avuto alcuna interazione con gli anziani del quartiere, ma ora non poteva fare a meno di notarli. Wudi si avvicinava e con la sua voce bassa, quasi sussurrando, cercava di dire: «Scusi, ho visto che non ha la mascherina, ma è meglio metterla quando va a fare la spesa, in un posto chiuso, un po’ affollato. Ecco…» e così dicendo porgeva all’interlocutore due mascherine.
Alcuni la guardavano perplessi. Forse erano sorpresi di trovarsi di fronte a una sconosciuta cinese, forse non era mai successa loro una cosa simile. Ma molti alla fine apprezzavano e accettavano il dono.