La violenza va condannata, sempre. Ma l’unanime, necessaria, indignata reazione a un atto gravissimo non può restringere lo sguardo e la ragione. Passata l’emozione dopo la strage di gennaio nella redazione del settimanale satirico Charlie Hebdo a Parigi – da molti definita l’11 settembre europeo – dobbiamo ripartire da un confronto ampio sulle condizioni per una convivenza civile. Perché la tentazione di dividere il mondo tra buoni e cattivi e di identificare frettolosamente questi ultimi in una religione, in un gruppo, in un’ideologia, se da una parte risolve la nostra atavica paura, dall’altra non produce alcun pensiero fecondo e rispettoso. È il solito, semplicistico escamotage del capro espiatorio, del nemico da cercare e abbattere. “Caccia all’uomo”, titolavano alcuni giornali dopo l’eccidio parigino. Ma la violenza inaccettabile e brutale di una delle parti non santifica e assolve l’altra, le sue responsabilità, il suo bisogno di conversione, al pari della prima.
Le 12 persone uccise a Parigi non ci impediscono di considerare la satira di Charlie Hebdo poco rispettosa delle differenze, di religione e di pensiero. Insufficiente ad affrontare le questioni vere. Non basta una vignetta, occorrono tempo e sapienza. Conoscenza, reciproca e simpatetica. Anche la libertà, dell’Occidente come dell’Oriente, ha bisogno di conversione. Siamo forse noi più liberi di chicchessia? A proposito di libertà d’espressione e del ruolo giocato dai media, perché per l’eccidio di Parigi si sono tutti mobilitati dentro un grande bisogno di schierarsi insieme, indignarsi insieme, difendersi insieme, mentre dopo il concomitante eccidio perpetrato da Boko Haram in Nigeria, che ha causato 2.000 morti, non si è levata la medesima indignata protesta? Ragioni politiche? O la gravità di un eccidio dipende dal luogo in cui accade? Dalla convenienza politica che raccomanda di dare visibilità e gravità ad una certa violenza piuttosto che a un’altra, così da ingenerare scelte politiche calcolate? Perché urliamo al mondo certe violenze e tacciamo o ci fanno tacere certe altre?
Dopo quanto avvenuto a Parigi si è cominciato a parlare di una altrimenti improbabile intesa tra Francia e Stati Uniti, di nuove alleanze contro il terrorismo. Ma è quest’ultimo l’unico vero male o vi sono problemi più profondi e comuni alle tante parti che compongono le nostre società plurali? Come mai la politica e quindi la convivenza civile tra Stati, popoli, gruppi, è sempre più l’esito non del dialogo, della mediazione, della condivisione e della conoscenza reciproca, ma dell’attentato violento del momento e della cronaca concitata che ne segue?
Allora anche le nostre città “sicure” e i loro abitanti diventano oggetto di trattative, cioè di una forma di tratta. Sacrificati alle ragioni politiche ed economiche del momento. MM