AL DI LA’ DEL MEKONG
Dove arriva l’amore. Il vero vs il virus

Dove arriva l’amore. Il vero vs il virus

Anche in Cambogia la diagnosi prenatale si sta trasformando in un processo di selezione dei nascituri. Parlandone al corso di bioetica in seminario per aiutare i ragazzi a ricostruire un’atmosfera di Grazia, non ho insistito con la teologia ma sono passato alla letteratura italiana

 

Durante il corso di Bioetica appena concluso presso il Seminario Maggiore di Phnom Penh, per non limitarci alla sola teoria, abbiamo invitato un medico per ascoltarne l’esperienza. In particolare affrontando il tema delle diagnosi prenatale che si stanno trasformando, non solo qui in Cambogia, in un processo di selezione dei nascituri. «Di fronte a malformazioni anche minime – raccontava – si opta immediatamente per l’interruzione della gravidanza». «È il costante suggerimento di noi medici». Molte famiglie povere non potrebbero far fronte alle cure necessarie e soprattutto sono lasciate sole, da uno Stato che non ha tempo per i più deboli e da una cultura dispotica che venera la dea salute.

Di fronte a una simile tendenza e per aiutare i ragazzi a ricostruire un’atmosfera di Grazia, non ho insistito con la teologia ma sono passato alla letteratura italiana. Ho infatti ripreso in mano Italo Calvino e il suo libro, La giornata di uno scrutatore, dove si racconta di Amerigo Ormea, militante comunista, chiamato a fare lo scrutatore alle elezioni del 1953 in un seggio allestito presso la Piccola Casa della Divina Provvidenza, nota come il Cottolengo di Torino. Quella particolare atmosfera evocata nel libro, in particolare al capitolo 12, certamente estranea ai ragazzi, è però fatta dell’ABC dell’umano. Ovvero di un padre, di un figlio e di un Mistero che ne accompagna la vita, ne allarga il cuore. Calvino ci offre una pagina insuperata, del tutto assente nel panorama letterario cambogiano (figuriamoci il voto a persone disabili…). Tra queste pagine, il vero dell’umano-che-è-comune lotta contro il virus di una cultura di morte-che-è-dilagante.

Ebbene, in quel momento del racconto, Amerigo deve salire nel reparto dei più gravi che «non potevano lasciare il letto e la corsia» per scendere al seggio. Sono scenari famigliari a noi italiani quanto estranei da queste parti. Su in corsia, Amerigo trova il prete «con in mano un suo elenco» dei pazienti votanti e la Madre che dirige il reparto. «L’occhio, uscendo dall’ombra della scala, provava un senso d’abbagliamento, doloroso, che forse era soltanto una difesa, quasi un rifiuto di percepire in mezzo al bianco d’ogni monte di lenzuola e guanciali la forma di colore umano che ne affiorava». Qui dobbiamo afferrare la profondità dello sguardo e il talento letterario di Calvino.

È però «un letto alla fine della corsia» che attira l’attenzione di Amerigo. «Il suo occupante, … era seduto su una seggiola da una parte del letto, … e seduto dall’altra parte del letto era un vecchio col cappello, certamente suo padre, venuto quella domenica in visita. Il figlio era un giovanotto, deficiente, di statura normale ma in qualche modo – pareva – rattrappito nei movimenti. Il padre schiacciava al figlio delle mandorle, e gliele passava attraverso al letto, e il figlio le prendeva e lentamente le portava alla bocca. E il padre lo guardava masticare».

Amerigo continua a contemplare la scena del padre e del figlio. «Il figlio era lungo di membra e di faccia, peloso in viso e attonito, forse mezzo impedito da una paralisi. Il padre era un campagnolo vestito anche lui a festa e in qualche modo, specie nella lunghezza del viso e delle mani, assomigliava al figlio. Non negli occhi: il figlio aveva l’occhio animale e disarmato, mentre quello del padre era socchiuso e sospettoso, come nei vecchi agricoltori. Erano voltati di sbieco, sulle loro seggiole ai due lati del letto, in modo da guardarsi fissi in viso, e non badavano a niente che era intorno». «Amerigo teneva lo sguardo su di loro», ne era «in qualche modo affascinato».

Il suo ruolo era assicurarsi che quelli nella lista votassero liberamente. Spesso chiedeva della loro reale capacità di esprimere il voto. L’unica che conosceva la condizione di quegli ospiti era la Madre «che sta qui con loro giorno e notte». Lei conosceva tutti ed era da tutti riconosciuta. È a questo punto che Amerigo ha un primo affondo quando gli sovviene di confrontare «lo sguardo della vecchia suora con quello del contadino venuto a passare la domenica al Cottolengo per fissare negli occhi il figlio idiota». In fondo, alla Madre «non occorreva il riconoscimento dei suoi assistiti, il bene che ritraeva da loro – in cambio del bene che loro dava – era un bene generale, di cui nulla andava perso». «Invece il vecchio contadino fissava il figlio negli occhi per farsi riconoscere, per non perderlo, per non perdere quel qualcosa di poco e di male, ma di suo, che era suo figlio».

Amerigo non era colpito dalla suora, «ma il pensiero che lo rodeva … era ancora la presenza di quel contadino e di suo figlio, che gli indicavano un territorio per lui sconosciuto». Perché in fondo «la suora aveva scelto la corsia con un atto di libertà, aveva identificato – respingendo il resto del mondo – tutta se stessa in quella missione o milizia, eppure – anzi: proprio per questo – restava distinta dall’oggetto della sua missione, padrona di sé, felicemente libera».

«Invece il vecchio contadino non aveva scelto nulla, il legame che lo teneva stretto alla corsia non l’aveva voluto lui, la sua vita era altrove, sulle sue terre, ma faceva alla domenica il viaggio per veder masticare suo figlio. Ora che il giovane idiota aveva terminato la sua lenta merenda, padre e figlio, seduti sempre ai lati del letto, tenevano tutti e due appoggiate sulle ginocchia le mani pesanti d’ossa e di vene, e le teste chinate per storto – sotto il cappello calato il padre, e il figlio a testa rapata come un coscritto – in modo da continuare a guardarsi con l’angolo dell’occhio».

«Ecco, pensò Amerigo, quei due, così come sono, … questo [loro] modo d’essere è l’amore… l’umano arriva dove arriva l’amore; non ha confini se non quelli che gli diamo».

Almeno qui, tra queste pagine di Italo Calvino e quelle mura di San Giuseppe Cottolengo, il vero dell’amore ha già vinto il virus della morte.