Il Coro Elikya, che in lingua lingala significa “speranza”, festeggia con un concerto natalizio il cammino di questi ultimi cinque anni. Rilanciando un progetto di musica, ma anche di incontro e solidarietà
Quando la musica supera ogni barriera – di origine e di lingua, di cultura e di religione – per unire e creare qualcosa di nuovo e di bello. È quello che sperimenta da diversi anni il Coro Elikya, un insieme multietnico di coristi e musicisti, costituitosi nel 2010 e diventato associazione nel 2012. Un’esperienza di musica e condivisione che non smette di crescere e di rinnovarsi. Partita informalmente negli anni Novanta da Barzio, in Valsassina (nord di Milano), come una delle tante iniziative del Centro Orientamento Educativo (Coe), quella di Elikya – che in lingua congolese lingala significa “speranza” – è una realtà molto più che musicale, un progetto di arte, incontro e confronto che ha portato questi giovani artisti a esibirsi sui palcoscenici più diversi e negli eventi più prestigiosi: come l’Incontro Mondiale delle Famiglie 2012 alla presenza di Papa Benedetto e il Premio volontario dell’anno Focsiv 2014 con Papa Francesco (nella foto); o, ancora, la Giornata contro la tratta 2016, organizzata a Milano da Pime, Mani Tese e Caritas Ambrosiana, con il Premio Nobel per la Pace, Kailash Satyarthi. Quest’anno è stato tra i protagonisti del Festival della missione di Brescia. Dimostrando una volta di più che la qualità dell’insieme è sempre maggiore della somma delle sue parti. Oggi il Coro Elikya è composto una sessantina di persone, in gran parte cantanti, divisi in quattro sezioni (soprani, contralti, tenori, bassi), accompagnati da una decina di musicisti.
«Elikya non è solo un’esperienza musicale, è un laboratorio culturale e sociale», dice con il suo inesauribile entusiasmo il direttore Raymond Bahati, 35 anni. Arrivato in Italia 16 anni fa dalla Repubblica Democratica del Congo per completare gli studi in psicologia, Raymond ha dato un nuovo slancio e una nuova visione a questo coro. «Siamo un gruppo, ma siamo anche una comunità – insiste -. Il senso dell’accoglienza e della fratellanza è qualcosa che cerchiamo di vivere innanzitutto al nostro interno per poi testimoniarlo al pubblico. È questo il nostro “codice”, la nostra ragione di essere più profonda».
Un compito non facile, visto che il coro è appunto un mosaico di tessere molto diverse. Per origine: 16 nazionalità diverse – dalla Cina al Camerun, dal Giappone al Brasile -, compresi alcuni profughi provenienti da Nigeria, Togo e Repubblica Democratica del Congo. Ma anche molti italiani di varie provenienze – dalla Lombardia al Piemonte, dalla Sicilia alla Puglia – pure loro con le rispettive culture e tradizioni. Diversi anche per religione: cristiani di varie confessioni, musulmani, non credenti e animisti. E, infine, per età: la maggior parte sono giovani dai venti ai trent’anni, con i più “anziani” che arrivano ai cinquanta. Quanto al sesso, c’è una predominanza di donne, che si fanno carico anche dei compiti più organizzativi e logistici. Oltre che di responsabilità. Come Laura Negri, lecchese, che è la vice presidente dell’associazione. Mentre il presidente è Faustin Ntzama, camerunese trapiantato nel vigevanese.
«Ciascuno viene accolto nel coro per quello che è – spiega Laura -. La cosa importante è che senta di essere un bene per tutti. Per questo cerchiamo di valorizzare le capacità e le potenzialità dei singoli, per offrire un’opportunità di crescita personale e, nello stesso tempo, per portare avanti un progetto di gruppo». Di fondo, restano i valori e i principi che hanno ispirato la nascita di questo gruppo: la fede, l’attenzione per il prossimo, la passione per l’arte. Ma anche la disponibilità ad aprirsi all’accoglienza delle persone più disparate e alle richieste più variegate: «Abbiamo spaziato in realtà diversissime tra di loro – continua Laura -: parrocchie, gruppi missionari, associazioni che si occupano di progetti in Paesi in via di sviluppo, festival, cerimonie… Abbiamo incontrato la sofferenza degli ospedali e del carcere, cercando di donare un po’ di serenità e speranza anche in contesti in cui è difficile trovare uno spiraglio per guardare al domani».
«Ci vuole una grande sensibilità – continua Raymond – per incontrare e accettare l’altro, chiunque esso sia, e un’attenzione speciale soprattutto all’aspetto religioso, perché nessuno si senta “diverso” o “escluso”. Solo così, rispettando le diversità, si può costruire un insieme armonico, non solo musicale, ma di relazioni, apertura, accoglienza e integrazione». È questa l’anima del coro Elikya che traspare anche dalle musiche e dalle canzoni e, soprattutto, dalle attività concertistiche. Che, con il tempo hanno acquisito un livello di qualità straordinaria. Del resto, tutti i musicisti sono diplomati al conservatorio, mentre i coristi si impegnano in prove e concerti sotto la guida coinvolgente, ma anche esigente, di Raymond.
Il repertorio attuale attinge soprattutto alle tradizioni musicali di diverse aree del mondo, con una prevalenza di canti religiosi cristiani, completamente riarrangiati da musicisti africani e italiani, con strumenti di varie origini e una forte connotazione afro. Il primo cd, realizzato nel 2012 e che porta il nome del Coro, racconta proprio questa esperienza di integrazione attraverso la musica, che nasce da un lungo percorso di conoscenza e sperimentazione. Si rivolgeva «soprattutto ai giovani, perché coltivino il desiderio di conoscere e incontrare l’“altro”, per imparare insieme a crescere nell’amore, nella reciprocità e nella condivisione».
Ora è in cantiere un nuovo cd, con più della metà delle traccenuove di zecca e tre inediti. Tra questi, un’omelia di mons. Mario Delpini, prima che diventasse l’attuale arcivescovo di Milano. Il brano verrà proposto per la prima volta, alla presenza dello stesso arcivescovo e delle autorità religiose e civili milanesi, in uno speciale concerto in programma il 19 dicembre presso il Teatro Belloni in Barlassina (MB) dal titolo: Chaire! Il cammino della speranza. Un’occasione speciale – che verrà trasmessa anche in streaming – per rinsaldare i legami e promuovere nuove possibilità di collaborazione.
Nel frattempo, Elikya non ha dimenticato la sua anima solidale. «In questi anni – spiega Laura -, nonostante ci fossimo sempre autofinanziati, siamo riusciti con i nostri pochi mezzi a sostenere alcuni progetti in Bangladesh e Camerun con il Coe, in Cambogia con la Comunità missionarie laiche, in Bolivia con Aiuti Terzo Mondo, in Pakistan con Italian Friends of the Citizens Foundation e nelle zone terremotate con Caritas».
Accanto a questo, Elikya promuove corsi di danze e percussioni africane e interventi nelle scuole di integrazione culturale attraverso la musica. Ma soprattutto cerca di essere uno spazio aperto a tutti. Specialmente ai giovani perché, come sottolinea Raymond, «nonostante i contrasti e le contraddizioni della nostra società e del nostro mondo, ci sono tante persone che hanno voglia di conoscersi e impegnarsi per un futuro fatto di relazioni che privilegiano lo scambio tra le culture. Perché è in questo scambio e in questo incontro che può scaturire tanta speranza».