A Milano l’Ufficio Educazione alla Mondialità del Pime con i ragazzi delle scuole di periferia a caccia di racconti insieme agli anziani. Per scoprire quante ricchezze ci sono anche nelle situazioni di fragilità
Ottocento ragazzi di quaranta classi in giro per i propri quartieri in cerca di storie. E non solo per un’attività scolastica, ma come parte di un progetto più grande che mira a rendere più belle e vivibili le periferie di Milano. C’è anche l’Ufficio Educazione alla Mondialità del Centro missionario Pime tra le realtà che dal mese di ottobre stanno promuovendo il percorso «Ti racconto una storia, la tua», un’iniziativa originale che scommette proprio sulle narrazioni come occasione di riscatto per le zone della grande città che proprio l’anonimato spesso contribuisce a rendere più difficili.
Sostenuto dal Comune di Milano nell’ambito del bando periferie e coordinato dall’associazione culturale ForMattArt, il progetto vede coinvolta una rete di realtà tra loro molto diverse già attive sul territorio: dal Pime per l’educazione dei ragazzi ai nonni di Anteas Milano, dall’Associazione CibiLab attiva sulla cultura del cibo a realtà come Associazione Ubi Minor e Associazione Comunità Il Gabbiano che lavorano specificamente su situazioni di marginalità sia economica che socio-culturale. Filo conduttore è proprio l’idea di imparare a riconoscere le proprie storie e comunicarle come una via per costruire un’ambiente nel quale il rapporto tra le culture e il rispetto della diversità non siano fatiche ma occasioni per tutti. In questo un punto di riferimento importante del progetto sono l’associazione Verso Itaca Onlus e la Libera Università dell’Autobiografia di Angiari (Ar), fondata da Duccio Demetrio e Saverio Tutino proprio intorno a quest’idea che in un mondo sempre più spersonalizzato e anonimo, raccontarsi è un modo straordinario per ricostruire rapporti umani. Ed è attraverso queste relazioni costruite ascoltando la storia dell’altro che nel quartiere poi a poco a poco si crea anche una rete di «antenne sociali», in grado di cogliere i bisogni e mettersi in gioco personalmente.
Gli educatori del Pime sono presenti per quest’attività in alcune scuole secondarie di primo e secondo grado nelle zone di Giambellino-Lorenteggio, Adriano-Padova-Rizzoli, Corvetto-Chiaravalle-Porto di Mare, Niguarda-Bovisa e Qt8-Gallaratese. Concretamente qual è il lavoro coi ragazzi? «Il primo passo è aiutarli ad ascoltare se stessi e gli altri – racconta Ilaria Mantegazza, dell’Ufficio Educazione alla Mondialità -. Prima di tutto se stessi per costruire la propria identità; ma subito dopo anche quella del compagno, la cui famiglia magari viene da lontano ma oggi abita nel tuo quartiere. Lo facciamo anche con dinamiche interattive, come ad esempio raccontarsi attraverso una serie di immagini. E poi, finito questo allenamento, i ragazzi hanno il compito di andare a intervistare qualcuno che non conoscono e portare la sua storia in classe».
Alla fine andrà a comporsi una grande mappa delle storie, parallela a quella che i nonni – ad esempio – stanno realizzando scoprendosi registi dietro a una videocamera o le mamme che hanno messo in comune una serie di altre esperienze. Ognuno con il suo pezzo per raccontare una storia che non nel frattempo non sarà più solo la mia; perché sarà diventata la nostra.