A un anno dalla morte, il ricordo della figura luminosa di Arturo Paoli, Piccolo fratello che ha attraversato il Novecento, donando la vita nelle periferie dell’Italia e del mondo
Alfonso è uno storico che lavora in un’università messicana. Non più credente e assai aspro nei giudizi contro la Chiesa, conservava, però, un bellissimo ricordo di un Piccolo fratello italiano, Arturo Paoli, suo maestro di noviziato negli anni della giovinezza. Arturo lo aveva incoraggiato a seguire la sua strada con libertà e coraggio. Per una volta, Alfonso non si era sentito giudicato o respinto. Scrissi a Paoli dell’incontro con il suo antico discepolo, e di come lo ricordasse con commozione. Nonostante i suoi 90 anni, mi rispose con premura e lucidità. Sono dovuto passare per il lontano Messico per sentirmi spinto a incontrare qualcuno che conoscevo solo per i suoi scritti, in particolare il libro dal bellissimo titolo Camminando s’apre cammino. Lo avevo letto da ragazzo, e mi aveva introdotto ai temi della teologia della liberazione. Dopo il primo contatto epistolare del 2006, sono andato più volte a trovare Arturo Paoli con Giorgio Pisano, coraggioso parroco anti-camorra di Portici, che si ispira alla spiritualità dei Piccoli fratelli del Vangelo. Fratel Arturo ha trascorso gli ultimi anni della sua vita tra le colline di San Martino in Vignale, nella diocesi di Lucca, che lo aveva cresciuto come presbitero nel periodo della Seconda guerra mondiale. Era stato partigiano e aveva salvato diversi ebrei perseguitati e per questo è considerato “un giusto tra le nazioni”. Lo stesso fece il suo conterraneo Lido Mencarini, poi missionario del Pime a Hong Kong (cfr. G.Bernardelli, Padre Lido. Missionario ed eroe nascosto tra Cantù e Hong Kong, Pimedit 2011).
Paoli venne poi chiamato a Roma da Montini come assistente generale dei giovani dell’Azione Cattolica. Erano i primi anni Cinquanta, tempo di forti passioni sociali ed ecclesiali: Arturo Paoli, insieme a Carlo Carretto, fu clamorosamente espulso dall’associazione del laicato cattolico. Scelsero la via dell’esilio, del deserto dell’Algeria e della missione ispirata a Charles de Foucauld. Dopo un servizio sulle navi degli emigranti, fratel Arturo, con tre compagni, iniziò una poverissima presenza a Bindua, tra i minatori di Sulcis-Iglesiente, in Sardegna. L’epopea evangelica in quella terra di nessuno, abbandonata da tutti (anche dalla Chiesa), è descritta in uno straordinario e commovente cortometraggio del 1958 a cura di Ugo Gregoretti, Buon Natale ovunque tu sia, recentemente ritrovato e riproposto da Dino Biggio.
Fratel Arturo partì missionario per l’America Latina, dove fondò diverse comunità di Piccoli fratelli in Argentina, Messico, Venezuela e Brasile. Erano gli anni della teologia della liberazione e dell’opzione preferenziale per i poveri. Arturo vi aderì con grande passione intellettuale e impegno concreto a fianco degli oppressi. Fu consigliere teologico del vescovo Enrique Angelelli, ucciso per il suo impegno per i poveri nel 1976. Fratel Arturo stesso fu minacciato di morte e dovette fuggire dall’Argentina.
Tornava occasionalmente in Italia, in particolare nell’amata Sardegna, e le sue conferenze segnavano profondamente il pensiero e la vita di un largo gruppo di amici. Uno di loro, Dino Biggio, ha riproposto i testi di quelle conferenze, che illustrano eloquentemente il tema fondamentale della lezione di fratel Arturo: come è possibile vivere la fede nei contrasti e nelle trasformazioni del nostro tempo? «Posso dire soltanto – scriveva Paoli in Svegliate Dio! – che sono restato un uomo di fede, un cristiano – un cattivo cristiano se volete – però un uomo di fede a cui interessa profondamente il problema della fede. (…) La relazione col Signore è il solo tema che mi interessa, la sola ragione di vivere».
Il tema della relazione come statuto originario dell’esistenza è al centro di un altro libro di Paoli, purtroppo dall’infelice titolo Il prete e la donna. Un libro illuminante, che smaschera la mistificante esaltazione del solipsismo religioso. Arturo non ha mai smesso di scrivere: sono circa trenta i suoi libri, improntati all’unione tra contemplazione e impegno per la giustizia.
Nato a Lucca nel 1912, e morto nella stessa città un anno fa, il 13 luglio 2015, a 102 anni, fratel Arturo è stato una delle figure più rappresentative del cattolicesimo italiano dell’ultimo secolo, avendolo percorso per intero e da protagonista. Il suo fu un protagonismo “minore”, o “piccolo”, in linea con la spiritualità di Charles de Foucauld. Forse quello di fratel Arturo fu anche un protagonismo “emarginato”, ovvero pienamente evangelico. Fu esiliato nelle periferie più difficili, che presto scelse come il luogo “giusto” della missione evangelica: i minatori dimenticati da Dio e dagli uomini in Sardegna; il deserto dell’Algeria; le lotte per la giustizia in America Latina. Ha attraversato un secolo di sofferenze ed è “rimasto un cristiano”; davvero non è poco.
Inoltre, è stato un uomo pienamente conciliare. Il Concilio l’ha anticipato con la sua profezia e l’ha realizzato nella missione tra i dannati e gli ultimi. I suoi scritti, come un pozzo da cui attingere, continuano a nutrire tante persone che faticano a “rimanere cristiani”, nelle difficili periferie contemporanee del nostro mondo e della nostra vita.