Raccontando le storie di mamelucchi e ottomani al Cairo «Kingdoms of fire» rinfocola le polemiche tra Egitto e Turchia. Andando a toccare un nervo scoperto come era già successo l’anno scorso a «Quantico» in India
Come qualunque altre forma di comunicazione, anche le serie tv possono essere utilizzate per veicolare messaggi e idee di ogni tipo. La loro influenza sulle persone è forte al punto da arrivare talvolta a produrre anche azioni significative. Proprio per paura di quest’effetto, con il passare degli anni alcuni governi hanno applicato un controllo sempre più rigido sui contenuti in onda nei loro Paesi. In certi casi si è applicata la censura, in altri, più estremi, si è arrivati addirittura al divieto.
Il più recente di questi scontri è quello consumatosi in Medio Oriente intorno a Kingdoms of fire, una serie che dopo anni di fiction turche incentrate sullo splendore dell’epoca ottomana, offre una narrazione diametralmente opposta. Prodotta dalla Genomedia (casa di produzione con sede negli Emirati Arabi Uniti) e diretta dal regista britannico Peter Webber Kingdoms of fire è infatti un dramma storico ambientato nella seconda metà del 1500 in Medio Oriente, nel periodo di forti contrasti tra i mamelucchi e gli ottomani per il controllo della Siria e dell’Egitto. Le due figure centrali attorno alle quali ruota la vicenda sono Selim I detto il Feroce, sultano ottomano invasore, e Toman Bay, sultano dei mamelucchi intenzionato a difendere le sue terre e protagonista della serie.
Nel corso dei suoi quindici episodi, Kingdoms of fire ha suscitato reazioni contrastanti nel pubblico: in Egitto c’è chi l’ha apprezzata considerandola solamente una fiction di successo o un modo per ampliare la propria conoscenza storica e chi, invece, è rimasto offeso o scandalizzato. Non stupisce invece che la serie sia stata bandita dalle tv turche. Inevitabile infatti l’intreccio con le vicende politiche di oggi tra la Turchia e l’Egitto, da anni ormai ai ferri corti per il sostegno di Ankara al movimento politico dei Fratelli Musulmani e all’ex presidente Mohammed Morsi, morto in carcere qualche mese fa. Lo scontro tra mamelucchi e ottomani proposto dalla serie tv è diventato così sui social network l’occasione per riaccendere quello tra i sostenitori dei Fratelli Musulmani e quanti si riconoscono nell’attuale presidente al Sisi.
L’autore della fiction – Mohamed Solaiman Abdul Malek – ha difeso il suo lavoro spiegando di aver condotto un attento lavoro di analisi delle diverse fonti storiche, per poter riportare nel copione i fatti in maniera fedele. In particolare ha spiegato di aver voluto sfatare l’idea secondo cui anche i mamelucchi fossero invasori. Se infatti anche loro erano effettivamente originari della Turchia, a differenza degli ottomani in Egitto vi erano arrivati da adolescenti nel XII secolo come soldati costretti a combattere sotto il califfato degli ayubbidi. Tanto è vero che il loro stesso nome – mamelucchi – significa letteralmente «schiavi». Nei secoli successivi avrebbero poi governato al Cairo, ma in quanto generali dei califfi abbasidi. «Al contrario gli ottomani – continua Abdul Malek – invasero l’Egitto e uccisero gli egiziani che cercavano di opporsi. Ma questa parte della storia non è mai raccontata dalla storiografia turca».
Particolare interessante: proprio il successo della serie sul piccolo schermo ha rilanciato al Cairo anche le posizioni di chi da tempo chiede che nella toponomastica i nomi che richiamano figure ottomane siano sostituite da eroi e martiri dell’Egitto.
Quello di Kingdoms of fire non è comunque un caso isolato: capita sempre più spesso che il successo di una serie tv diventi occasione di scontro su temi politici caldi. Basti pensare al caso di Priyanka Chopra, protagonista indiana della serie tv statunitense Quantico.
Il suo successo negli Stati Uniti è stato quasi contemporaneo a quello ottenuto in India. Anche Quantico però fu travolta da una polemica iniziata il 1 giugno 2018 in seguito alla messa in onda del quinto episodio, sul canale ABC. Oggetto del contendere il tema delicato del terrorismo: con un colpo di scena nella sceneggiatura l’appartenenza religiosa di alcuni terroristi si rivelò essere di matrice hindu anziché islamica. la scelta creò grande scompiglio in India, andando a toccare un nervo scoperto. Le reazioni degli attivisti nazionalisti e dei fan della Chopra non tardarono a manifestarsi. In quelle sequenze venne riconosciuta la delicata situazione politica tra India e Pakistan rispetto alla rivendicazione del Kashmir: regione che fin dalla conquista dell’indipendenza dalla Gran Bretagna è sempre stata motivo di sofferta contesa tra i due stati.
Anche in quel caso sui social furono numerosi i commenti di disaccordo anche da parte di personalità influenti indiane. L’attrice bhollywoodiana venne persino definita “traditrice del suo popolo”, per aver accettato di essere complice di una rappresentazione che «insultava il suo Paese», in favore dello sviluppo narrativo. Nei giorni successivi Chopra si scusò più volte ma quest’azione si è dimostrata totalmente inutile: in poche ore l’affetto e il rispetto con i quali veniva guardata, e considerata, dai suoi compatrioti, si era ridotto ai minimi storici perdendo così il suo ruolo di simbolo del successo e di orgoglio nazionale.