Il memoir “Il libro di Aisha” di Sylvia Aguilar Zéleny racconta lo sconcerto di una famiglia di fronte alla conversione religiosa di una figlia, che sceglie di tagliare i ponti per sempre con tutti
Patricia ha 22 anni. È messicana ed è la primogenita di una famiglia benestante, che le paga un soggiorno di studio in Gran Bretagna per migliorare il suo inglese. D’improvviso, succede qualcosa di irreparabile e la sua famiglia perderà Patricia per sempre. Una ventina d’anni dopo, questa storia è raccontata da Il libro di Aisha, appena edito in italiano (Ventanas, 16 euro) da Sylvia Aguilar Zéleny, la sorellina di Patricia, che all’epoca della scomparsa della ragazza aveva appena sette anni. In questo romanzo autobiografico, Sylvia raccoglie con la pazienza di un’archeologa ogni ricordo, ogni piccolo frammento che riguarda la sorella. La ricerca di Patricia diventa un percorso dentro se stessa e attraverso il dolore vissuto da lei e dalla sua famiglia.
La storia di Patricia che diventa Aisha precede quella di tante musulmane nate in Europa e di ragazze occidentali convertite all’Islam quando è stato proclamato lo Stato islamico nel 2014 da Abu Bakr al-Baghdadi. La narrazione dell’autoproclamato califfato attira in rete ragazzi che si offrono come foreign fighter, ma anche giovani donne radicalizzate, che scelgono di essere spose-eroine dei combattenti. Sono oltre 500 le ragazze partite dall’Europa per diventare delle “vere” musulmane. Patricia-Aisha è una di loro. Il caso è quasi da manuale. La liceale con simpatie marxiste, proveniente da una famiglia poco religiosa, attraversa un momento di crisi e di spaesamento provocato dal trovarsi in una società diversa da quella messicana. «Diceva di sentirsi una nullità, che stava per crollare, che era una goccia qualsiasi in una città in cui non smette mai di piovere», riferisce a Sylvia, la migliore amica della sorella, che era in corrispondenza epistolare con lei. All’inizio degli anni Ottanta non c’era la possibilità di una video call con gli amici o con i genitori, per sentirsi meno soli. E una telefonata all’altro lato dell’Atlantico aveva costi proibitivi. La famiglia le lancia un salvagente, mandandole in visita i due fratelli gemelli Edgar e Sergio, di quattro anni più giovani, che allietano Patricia. Dopo la loro partenza, però, la ragazza ricade nello sconforto.
Quando incontra un giovane turco, Sayyib, Patricia se ne innamora e per stargli vicino accetta di rivoluzionare la sua vita per sempre. «Con lui ha imparato a essere un’altra, a credere in un Essere Supremo, ad abbassare la testa, a tacere, a incassare un colpo, poi un altro», scrive Sylvia nel libro. Patricia si converte all’islam e sposa Sayyib . All’inizio lui non ha neppure bisogno di imporle nulla: è lei che abbraccia in modo totalizzante la nuova religione. Mi è capitato, oltre trent’anni fa, di intervistare un’italiana che aveva sposato un arabo. Aisha-Patricia mi ha ricordato proprio questa donna, ex militante comunista estremista, che aveva lasciato un credo politico dogmatico e assolutizzante per abbracciarne uno religioso con la stessa foga e con un desiderio potente di compiacere il marito, secondo quanto l’islam prevede. Come il coniuge di questa donna italiana, anche Sayyib non proveniva affatto da una famiglia di fondamentalisti. Al contrario, come si scopre nel libro, la sorella del ragazzo godeva di una discreta libertà, di abbigliamento e di pensiero.
Dopo le nozze, Patricia-Aisha torna per un’unica volta in Messico per far conoscere alla sua famiglia il marito. È un disastro: malgrado l’atteggiamento conciliante dei familiari, la ragazza disapprova tutto, dallo stile di vita al cibo. E si rifiuta di togliere l’hijab persino in presenza delle donne della famiglia, cosa che peraltro l’islam non impone. Quando la visita di cortesia termina, la piccola Sylvia non può immaginare che non rivedrà mai più la sorella maggiore, da lei amata e adorata. Le notizie su Aisha e sulla sua famiglia in seguito saranno frammentarie. La ragazza non telefona e non scrive, ha paura delle reazioni di Sayyib che, finito l’idillio iniziale, non esita ad alzare le mani su di lei. Invano la madre, per una sola volta, tenterà di offrirle una via d’uscita, ma Aisha è ormai sottomessa. Della ragazza femminista e spavalda di prima non è rimasto più nulla. Il suo credo le impone di restare e subire il peggio, lontano dalla famiglia di origine e dalla possibilità di ottenere aiuto.
“Il libro di Aisha” non è semplicemente il racconto della vita di Patricia e della sua conversione all’islam. L’autrice, raccogliendo più voci, riesce a ricostruire la sofferenza dei genitori e della famiglia quando si perde una persona cara. Aisha è viva, ma per i suoi genitori e fratelli è un fantasma, è come se fosse morta. Per Sylvia adulta, i lunghi anni passati a cercare di capire questa sorella scomparsa attraverso la scrittura diventano centrali nel romanzo autobiografico. Per lei scrivere della sorella diventa una vera ossessione, che permea la sua quotidianità, fatta di un lavoro, di un compagno, di un figlio. Sylvia Aguilar Zéleny ci offre un memoir dove i fatti, la realtà, il vissuto delle persone diventano come un grande archivio a cui attingere per creare il romanzo. C’è sempre un distacco fra la persona reale dell’autore e il narratore del romanzo autobiografico. Inevitabilmente, nel racconto esiste qualche elemento di finzione. Le persone diventano personaggi, per riuscire a «trovare e ritrovare i legami che ci uniscono a mia sorella», come dice Aguilar Zéleny.
Che cosa succede a Patricia-Aisha dopo la sua scomparsa non ve lo racconteremo. Ma il memoir di Sylvia Aguilar Zéleny, scritto con tale scioltezza che si legge d’un fiato, ha il merito di dischiuderci un mondo e di affrontare apertamente il dolore che comporta un legame familiare reciso in nome di un approccio fanatico alla religione.