Un film di due registi inglesi racconta la vita frugale e felice di un’etnia dell’arcipelago di Vanuatu, i cui membri si sono improvvisati attori per raccontare il loro mondo nella foresta
Auto, cellulari, denaro, vestiti… In ogni angolo del nostro pianeta globalizzato, al di là delle differenze culturali, si è imposto il modello consumistico occidentale. Ovunque, o quasi: esistono ancora alcune terre sperdute in cui prevale lo stile di vita indigeno, che fa la gioia degli antropologi. L’isola di Tanna, nell’arcipelago di Vanuatu, a nord est dell’Australia, è uno di questi. Il primo europeo a metterci piede è stato il capitano Cook nel 1774. Da allora, sono seguiti i missionari e negli anni Quaranta persino i militari americani.
Malgrado il turismo, che oggi arriva dappertutto, in una parte dell’isola esistono ancora popolazioni che hanno consapevolmente scelto di nutrirsi e vestirsi solo con quanto offre la foresta, allevando maiali e polli, cacciando con arco e frecce e vivendo in capanne di frasche. È la loro storia che due documentaristi inglesi, Bentley Dean e Martin Butler, hanno scelto di raccontare nel film Tanna, presentato a Venezia nel 2015, candidato agli Oscar 2017 per l’Australia e finalmente dallo scorso week-end distribuito nelle sale italiane.
La trama è ispirata a un evento realmente accaduto. Nel 1987, due giovani innamorati hanno sfidato le consuetudini tribali, che prevedevano i matrimoni combinati per stringere alleanze. Il loro atto di insubordinazione è sfociato in tragedia, ma da allora le popolazioni di Tanna hanno ammesso nel kastom – il sistema di leggi, credenze, danze che regola la loro vita sociale da secoli – le nozze per amore. Nel film, il legame fra i due giovani Wawa e Dain si scontra con il tentativo del capo villaggio di ristabilire la pace fra gli abitanti di Yakel e la tribù rivale degli Imedin. Wawa deve sposare uno di loro: il rito della pace sarà sancito dal gesto di seppellire la clava e da uno scambio di maiali e di kava, una pianta importante nella vita spirituale di queste genti. Ma i due innamorati si danno alla fuga.
La pellicola merita di essere vista non solo per la storia d’amore, che commuove per sincerità e innocenza. È un affresco corale sullo stile di vita di una popolazione che nel XXI secolo ha trovato la sua strada per la felicità in una vita semplice e frugale, caratterizzata da forti legami comunitari. «Vogliamo dire al mondo che siamo i più felici della Terra, che viviamo in pace e in armonia», ha commentato il capo tribù Yakel, che è uno degli attori di Tanna, nella parte di se stesso.
I retroscena del film sono particolarmente interessanti. Quando Dean e Butler hanno contattato la gente di Yakel, nessuno di loro sapeva cosa fosse una realizzazione cinematografica. «Il primo film che abbiamo visto in vita nostra è quello che abbiamo interpretato», ha dichiarato il capo tribù. I due inglesi sono rimasti per sette mesi nella foresta con loro e si sono ambientati grazie all’aiuto di Jimmy Joseph Nako, un indigeno originario di un villaggio vicino, che ha fatto da traduttore e mediatore culturale. In un film in cui la sceneggiatura è stata spesso frutto di discussione e confronto con gli indigeni, la comunicazione ha avuto un ruolo fondamentale.
Gli attori non sono professionisti e alcune riprese hanno suscitato imbarazzo, come ricordano i due registi. Un esempio? Per il ruolo di Dain è stato scelto uno dei giovani più belli del villaggio. Durante le riprese, l’uomo era spaventato dall’idea di compiere gesti affettuosi con una donna in pubblico – anche se per finzione – perché nella mentalità locale è tabù. Poi si è lasciato convincere, una fortuna per le sorti del film.
Oltre alla gente di Yakel, grande protagonista di Tanna è la natura, ricca di luoghi sacri e di divieti, ma nel contempo generosa e accogliente. Non a caso, il vulcano attivo Yahul (il monte Yasur) è concepito come lo spirito madre dell’isola, il luogo dove lo sciamano ricava i suoi responsi e la sua forza. Un’ultima perla: il film non è doppiato ma sottotitolato, consentendo allo spettatore di godersi la musicalità della lingua nauvhal di Yakel, una delle duecento fra lingue e dialetti che si trovano a Vanuatu e che fanno dell’arcipelago uno scrigno di diversità linguistica.