In oltre 170 anni il Pime ha raccolto una grande quantità di oggetti di valore: donazioni o opere di missionari artisti, geografi, archeologi. Oggi l’Ufficio Beni Culturali punta a riscoprire questo patrimonio
Visitare il laboratorio di restauro tessile dell’abbazia benedettina Mater Ecclesiae, sull’isola di San Giulio, è sempre un’esperienza ricca di bellezza. L’isoletta spunta in mezzo alle acque del lago d’Orta, che ha antiche origini moreniche. Deve il suo nome al santo greco che nel IV secolo d.C. assieme al fratello Giuliano giunse in Italia per portare il Vangelo. Si narra che san Giulio decise di costruire la centesima chiesetta italiana proprio su questa isola sperduta, che raggiunse miracolosamente trasportato sulle acque dal suo mantello. A questa epoca risale la fondazione di un Oratorio, sulle cui fondamenta nascerà poi una chiesa paleocristiana che con successive modifiche diventerà l’attuale basilica: nella sua cripta ancora oggi, dopo sedici secoli, sono conservate le reliquie del santo.
Proprio con lo scopo di custodire la forte spiritualità e il ricco patrimonio storico- religioso del luogo nasce qui nel 1973 l’abbazia benedettina che, come vuole la regola del santo fondatore, alterna nella vita di comunità momenti di preghiera e di lavoro. Con questo spirito, dal 1984 un laboratorio di restauro si dedica al recupero di preziosi tessuti che provengono da chiese, musei, enti pubblici e privati.
È dunque un viaggio nella spiritualità, nella bellezza e nella cura silenziosa quello che ci conduce a portare le vesti di alcuni martiri del Pime in questo luogo speciale.
Si tratta di abiti talari, paramenti liturgici e copricapi che necessitano di essere ripuliti e adeguatamente conservati. Oltre alla polvere e ai danni del tempo portano intrisa nelle loro fibre la vicenda umana di chi li ha indossati, in alcuni casi la traccia di una morte cruenta, sempre la storia del Pime, fatta della vita dei suoi missionari e delle persone che hanno incontrato e accolto.
Questa azione di tutela e conservazione rientra nelle attività dell’Ufficio Beni Culturali, nato alla fine del 2020 con la finalità di conoscere, conservare e valorizzare il patrimonio materiale e immateriale dell’Istituto, nella convinzione che i beni culturali, di qualunque tipologia siano – artistica, libraria, fotografica o storico-documentaria – costituiscano un riferimento imprescindibile per garantire la conservazione della memoria e la custodia di ciò che con il tempo andrebbe irrimediabilmente perduto.
Nel corso di più di 170 anni il Pime ha raccolto una considerevole quantità di oggetti molto diversi tra loro, frutto di regali, donazioni o creazioni degli stessi padri che si sono distinti oltre che come missionari anche come artisti, fotografi, geografi, archeologi e etnografi. Un complesso di opere in parte noto, ma in gran parte poco o per niente conosciuto, che ha bisogno di essere correttamente conservato e in parte “riscoperto”. Per questo l’Ufficio Beni Culturali, coordinato da padre Massimo Casaro, si è posto come obiettivo, oltre alla conservazione dei beni, anche la realizzazione di un inventario che per la prima volta documenti il patrimonio dell’Istituto esistente in Italia e nei Paesi di missione.
Un lavoro che si prospetta lungo ma anche ricco e appassionante, nella misura in cui permette di togliere uno strato di polvere e opacità a degli oggetti che tornano a essere i tasselli di un percorso che conduce all’oggi.
Così mobili, libri, fotografie, reliquie, edifici, strumenti musicali, quadri e ostensori si trasformano da semplici beni materiali in beni culturali, in grado di conservare la memoria, restituire il senso sia di una storia particolare sia di un’appartenenza a una vicenda umana più ampia.
Nel lavoro di ricerca e documentazione che accompagna l’inventariazione del patrimonio si accumulano immagini, si percorrono corridoi e stanze, a volte sembra di perdersi tra oggetti troppo diversi e muti. Poi inizia a delinearsi un sottile filo rosso che permette di fare collegamenti, seguire spostamenti, accorpare opere che sembravano non avere nulla in comune, così da ricomporre finalmente una parte del puzzle. Chi per anni ha teso questi fili è stato padre Mauro Mezzadonna che con grande pazienza ha scritto note e cartigli e ha compilato lunghe liste di oggetti, oggi tracce fondamentali. Così è stato possibile ricondurre una serie di quadri a una donazione di Papa Pio IX fatta nella seconda metà del XIX secolo, o più in generale accertare attribuzioni e date.
In altri casi è un singolo autore a legare Paesi lontanissimi, come padre Fulvio Giuliano, pittore e iconografo, che ha realizzato più di un migliaio di icone che ornano diverse case del Pime in Italia, America, Asia e Africa. Un vero piccolo tesoro in cui lavori più recenti a ispirazione classica si affiancano ad altri che propongono un innovativo e originalissimo stile africano o cinese.
Tutte scoperte o “riscoperte” che l’Ufficio Beni Culturali desidera condividere con un pubblico più ampio possibile, per valorizzare questo variegato patrimonio e renderlo accessibile attraverso mostre, convegni, pubblicazioni ed eventi culturali.
Prendersi cura dell’uomo significa anche offrirgli l’occasione di conoscersi attraverso le opere che ha creato e con cui ha espresso se stesso, i suoi profondi desideri e la propria storia.