Cos’è rimasto del Sinodo dell’Amazzonia? Ripercorrendo l’esperienza del Sinodo ci rendiamo conto che molte sfide per l’Amazzonia cominciano proprio adesso
Ero a Roma anch’io per il Sinodo dell’Amazzonia. Dopo aver vissuto in Brasile la sua preparazione nel mese di ottobre ho fatto parte dell’équipe di missionarie e missionari che con un gruppo significativo di rappresentanti dei popoli indigeni giunti dai loro villaggi per l’occasione hanno animato l’esperienza di Amazzonia Casa Comune, alla chiesa di Santa Maria alla Traspontina.
È stata un’occasione intensa che in alcuni momenti si è intrecciata con le celebrazioni del Sinodo. Il momento più forte per me è stato il primo giorno, quando c’è stata la processione per l’inizio dei lavori. Noi di Amazzonia Casa Comune ci siamo trovati dentro San Pietro da soli, insieme a queste persone venute con noi dall’Amazzonia. Guardavo la chiesa immensa e gli indios e mi dicevo: per una volta l’Amazzonia è di casa qui. Poi sono arrivati i padri sinodali, è arrivato il Papa che ha pregato invocando lo Spirito Santo ed è iniziata la processione. Ci avevano spiegato che il tutto si sarebbe dovuto svolgere secondo uno schema preciso: una sequenza di persone, in ordine stabilito con il Papa in fondo da solo. Invece si è mischiato subito tutto: i vescovi, gli indios, la canoa, la rete e il Papa era felicissimo. Davvero un pastore in mezzo al suo gregge. Quando poi siamo arrivati davanti alla porta dell’aula Paolo VI c’è stato come un passaggio delle consegne. Tra gli oggetti che abbiamo dato ai padri sinodali che entravano c’erano le immagini dei martiri dell’Amazzonia. Ho avuto la sensazione fortissima che anche loro fossero lì, e che avrebbero illuminato con la loro presenza i lavori.
La Casa Comune è stato uno spazio fuori dall’aula del Sinodo, nella città, che per tutte le tre settimane abbiamo animato con incontri, dibattiti, occasioni di conoscenza della spiritualità amazzonica. È servito anche a tenere viva l’attenzione da parte dei media e di tante altre persone sull’evento. E i padri sinodali ci hanno detto che sentivano come importante questa presenza fuori. Siamo stati oggetto anche di attacchi polemici da parte di chi ha completamente distorto la realtà, attribuendo a noi e agli indios parole e gesti che non avevamo mai nemmeno immaginato. Con questa piccola sofferenza abbiamo sperimentato anche noi gli attacchi che in misura molto maggiore Papa Francesco sta vivendo. E abbiamo colto quanta forza spirituale stia mettendo in campo nel suo condurre la Chiesa. «Che cosa vi aspettate dopo questo Sinodo?». Ce lo hanno chiesto in molti. A tutti abbiamo detto che il Sinodo non sono state solo le tre settimane a Roma. È stato tutto il processo che lo ha preparato e i risultati positivi già si sono visti. È stata data la possibilità ai popoli indigeni di parlare al mondo dei problemi che stanno vivendo e questa per noi era la cosa più importante. Hanno sentito il Papa dalla loro parte. Ci dicevano: «È qualcosa che non avevamo mai nemmeno sognato». Vedere gli occhi di tutte queste persone brillare è già un frutto importante.
Ora il Sinodo ha lasciato in eredità il Documento finale in cui molte cose proposte sono state accettate. Non solo il tema dell’ordinazione di uomini sposati in quelle comunità dove oggi non si può celebrare l’eucaristia, ma tutto uno sguardo complessivo rispetto all’Amazzonia. Ciò che conterà davvero, però, sarà quanto il Papa scriverà. E ancora di più quanto cammineremo sulla strada indicata. Il vero Sinodo, infatti, per l’Amazzonia comincia adesso. Perché non è mai l’audacia, la bellezza o la creatività di un documento a far accadere le cose. Ma il desiderio e la forza di realizzarle noi in prima persona.