In occasione del Natale per la rubrica “Il bello della fede”, ci viene proposta un’opera dell’artista palestinese Sliman Mansour sulla Sacra faimglia, per tornare alle origini della fede cristiana
La Sacra famiglia di Sliman Mansour è palestinese: i tratti somatici, l’abito tradizionale di Maria, con il bel pettorale ricamato, la kefiah indossata da Giuseppe e dal piccolo Gesù restituiscono al Vangelo i costumi e i colori caldi della sua terra d’origine.
Nato nel 1947 a Bir Zeit, una città alla periferia di Ramallah, a pochi chilometri da Gerusalemme, Sliman Mansour è oggi uno dei maggiori artisti palestinesi. Le sue opere sono state esposte in numerosi Paesi arabi, negli Stati Uniti, in Europa e in Asia.
Come palestinese e cristiano, Mansour porta il peso e la ricchezza della sua fede e delle sue origini: attraverso l’arte esprime il grande amore per il suo popolo, il dolore per il conflitto arabo-israeliano e l’aspirazione alla pace.
Le sue opere sono costellate di simboli e immagini pregnanti. La donna rappresenta la terra, la patria; anche le vesti tradizionali che indossa sono una dichiarazione di appartenenza: i ricami variopinti delle stoffe sono un’arte fortemente radicata nel mondo palestinese, tanto da costituire un elemento di identità. L’ulivo con le sue forti radici esprime la resistenza alle avversità e l’attaccamento alle proprie origini, mentre la colomba, che vola libera nel cielo, è un emblema di pace e libertà.
Mansour crede fortemente nelle possibilità del dialogo: ha partecipato attivamente ad eventi e pubblicazioni che hanno visto affiancati artisti palestinesi e israeliani, con l’intento di offrire diversi punti di vista sul conflitto e di affermare che la pace è possibile. La produzione di Mansour è caratterizzata dall’uso di materiali anche molto poveri. L’opera “I’m Ismail”, che raffigura la vicenda biblica di Ismaele e del suo esilio, è realizzata con il fango. Questo materiale, che col tempo si prosciuga e si frammenta, è per l’artista essenziale ma ricco di significati. Rappresenta il disfacimento e il dolore legati al conflitto, e il passare del tempo che trascina con sé la materia e la deteriora. È un ricordo dolce, legato alla nonna materna e all’ambiente povero della sua infanzia, in cui è maturato il desiderio di fare arte. Ma sopra ogni cosa esprime l’attaccamento doloroso e mai privo di speranza per la sua terra.