Tambacounda, nella savana senegalese, è un hub per i giovani che puntano a partire per l’Europa. Alcune realtà legate ai salesiani li informano dei rischi e cercano di offrire loro un’alternativa
«Ah, ça c’est l’Afrique traditionnelle!», «Questa è l’Africa tradizionale!». Con queste parole gli stessi senegalesi si riferiscono alla città di Tambacounda, situata a 500 chilometri a est di Dakar. Una volta per arrivarci si usava il treno perché la ferrovia univa la capitale senegalese a quella del Mali, Bamako. Perfino il giornalista polacco Ryszard Kapuscinski vi fece tappa nel corso delle sue peregrinazioni in Africa. Ora il treno non c’è più e la fatiscente stazione è l’unica attrazione turistica di Tamba, come tutti qui chiamano la città in mezzo alla savana senegalese.
Ancora oggi però questo resta un importante crocevia, soprattutto per chiunque voglia lasciare il Senegal. E per i giovani locali la voglia di partire è molta, perché a Tamba e dintorni purtroppo le opportunità lavorative sono scarse. Per farsi un’idea della condizione di disagio che vivono le nuove generazioni, basti pensare che circa il 90% delle attività lavorative in Senegal sono informali. A ciò si aggiungono le pressioni della famiglia. La decisione di andarsene, infatti, non è quasi mai presa individualmente, al contrario: partire, per l’Europa o per uno Stato confinante, è ormai quasi un rito di passaggio obbligato. Il desiderio di realizzarsi, il bisogno di sfuggire alla precarietà, la ricerca di un lavoro migliore e l’ambizione di poter provvedere alla propria famiglia come già fanno altri migranti sono tutti fattori che alimentano la smania di affrontare il viaggio.h, ça c’est l’Afrique traditionnelle!», «Questa è l’Africa tradizionale!». Con queste parole gli stessi senegalesi si riferiscono alla città di Tambacounda, situata a 500 chilometri a est di Dakar. Una volta per arrivarci si usava il treno perché la ferrovia univa la capitale senegalese a quella del Mali, Bamako. Perfino il giornalista polacco Ryszard Kapuscinski vi fece tappa nel corso delle sue peregrinazioni in Africa. Ora il treno non c’è più e la fatiscente stazione è l’unica attrazione turistica di Tamba, come tutti qui chiamano la città in mezzo alla savana senegalese.
Al giorno d’oggi le principali rotte di percorrenza sono due: una che da Dakar porta in Mauritania e poi in Marocco e un’altra che da località come Tambacounda si inoltra nella regione del Sahel: Mali, Niger, Libia e – se si è sopravvissuti fin qui – forse Mediterraneo ed Europa.
Chi riesce ad arrivare a destinazione viene osannato da chi resta a casa, e comincia un circolo di “dipendenza da rimesse”. Secondo i dati del ministero del Lavoro italiano, nel corso del 2017 sono stati inviati in Senegal circa 309 milioni di euro, pari al 7,5% del totale delle rimesse: una quota che rende il Senegal il primo Paese africano di destinazione di denaro in uscita dall’Italia. Tuttavia la maggior parte di questi soldi non viene reinvestita in loco, ma viene utilizzata per ostentare il miglioramento della propria situazione economica ora che un membro della famiglia è all’estero. E così il senso di deprivazione alimenta senza sosta il desiderio di emigrare in chi rimane, generando un circolo vizioso che sembra solo destinato a peggiorare nei prossimi anni con l’aumento esponenziale della gioventù africana. È in questo contesto che l’ong Vis – Volontariato internazionale allo sviluppo – ha da poco più di un anno avviato il progetto “Vivre et réussir chez moi”, “Vivere e riuscire a casa mia”, finanziato dall’Agenzia italiana per la cooperazione e lo sviluppo. Presente in Senegal dal 2015 e con prospettive di espansione anche in altri Paesi dell’Africa occidentale, il Vis nasce per dare supporto alle opere dei padri salesiani nel mondo. Gli uffici di Tambacounda si trovano infatti proprio a fianco della residenza dei padri di Don Bosco, i quali da 35 anni dirigono il centro di formazione professionale che offre corsi di meccanica auto, elettricità e gestione macchine agricole. In quest’ultimo ambito il centro offre dal 2012 un corso pilota in energia solare per restare al passo con i tempi e meglio rispondere alle esigenze del territorio. L’offerta formativa tiene infatti in considerazione la realtà della regione, che è ancora prevalentemente agricola. In più è proprio all’incrocio delle strade che dal Mali, dalla Guinea e dal Gambia portano a Dakar, quindi molti giovani che si ritrovano qui sono anch’essi migranti, ma provenienti dai Paesi confinanti.
“Il suffit que vous soyez jeunes pour que je vous aime”, “Basta che siate giovani affinché io vi ami”, sono le parole che si leggono uscendo da uno dei centri di formazione professionale. Le attività del progetto si strutturano lungo due direttrici principali. Da una parte ci sono le iniziative di sensibilizzazione all’interno della campagna “Stop tratta” (programma nato da una collaborazione tra Vis e Missioni Don Bosco) che mirano a spiegare il pericolo di finire nel meccanismo della tratta di esseri umani e i rischi di affrontare il viaggio per l’Europa in generale. I cooperanti di Vis ci tengono a precisare che lo scopo delle attività non è impedire forzatamente che i giovani emigrino, ma renderli consapevoli delle sfide che devono affrontare se decidono di intraprendere il viaggio. Allo stesso tempo si cerca di fornire informazioni dettagliate a chi cerca lavoro e dare una panoramica completa sulle opportunità esistenti in Senegal.
Dall’altra parte il Vis supporta le scuole dei salesiani e in questo campo le attività cercano di affrontare il problema della disoccupazione giovanile attraverso il miglioramento dell’offerta formativa. A partire dalla rimessa a nuovo di un centro di formazione professionale abbandonato nella cittadina di Missirah (a meno di un’ora di macchina da Tamba), che prevede la collaborazione dell’Institut Polytechnique Panafricain di Dakar e la facoltà di architettura dell’Università degli Studi Mediterranea di Reggio Calabria, in una forma di sinergia internazionale per lo sviluppo che potrà costituire un modello. Poi si passa ai seminari che cercano di mettere allo stesso tavolo i direttori dei centri di formazione professionale, le imprese della regione e gli attori istituzionali che si occupano di gioventù in Senegal per affrontare il problema della disoccupazione. Infine il Vis punta a erogare borse di studio ai giovani che vogliano frequentare i centri di formazione dei salesiani.
Le attività di sensibilizzazione, invece, prevedono la partecipazione diretta di potenziali migranti. Dalla visione di film a tornei di calcio, fino alle testimonianze dirette di chi ha perso un figlio nel Mediterraneo: strategie diverse messe in atto dal personale locale, gli “operatori di sensibilizzazione”, che in sella alla loro moto pattugliano la regione di Tambacounda passando di villaggio in villaggio e cercando di coinvolgere più famiglie possibile.
Ma c’è anche chi dopo essere stato in Europa decide di tornare. È il caso di Seny Diallo, che grazie ai salesiani ad Aidone, in provincia di Enna, è il primo senegalese a prendere parte a un’iniziativa di migrazione circolare. A lui si è poi unito Fode Diaby, e ora i due fanno da mediatori culturali per la ong di Don Bosco 2000, presidio e partner di Vis in Senegal. Le loro attività principali riguardano la creazione di orti nei villaggi intorno a Tamba da dove partono molti giovani. Seny oggi fa la spola tra la Sicilia e il Senegal e quest’estate ha accompagnato un gruppo di volontari di Don Bosco 2000 a conoscere la realtà migratoria del suo Paese di origine. Per una settimana i ragazzi hanno animato il villaggio di Velingara, dove è stato costruito un nuovo piccolo orto. Sono azioni microscopiche, ma che si spera possano ispirare altri giovani senegalesi a seguire l’esempio di Seny, il quale ha voluto utilizzare le conoscenze agricole apprese in Italia per favorire lo sviluppo del proprio Paese. Le terre intorno a Tamba infatti sono aride e non proprio adatte all’agricoltura tradizionale.
Viaggiando in macchina da Dakar a qui si vedono spesso piccole piantagioni percorse da un aratro attaccato a un asinello. Gli orti di Don Bosco 2000 invece sono completi di pannelli solari e di un sistema di irrigazione a goccia in modo che la coltivazione di verdure sia possibile nell’arco di tutto l’anno.
La presenza dei padri salesiani in Sicilia – dove gestiscono dei centri di accoglienza per migranti e rifugiati – e in Senegal ha permesso di dare avvio a quest’iniziativa di cooperazione circolare, ma molti sono anche i migranti di ritorno rientrati in Senegal che non hanno più la possibilità di raggiungere l’Europa. In questo caso il reinserimento presenta difficoltà maggiori.
Le aspettative che la famiglia aveva riposto nel giovane migrante, infatti, sono così elevate che spesso i ragazzi, una volta tornati, preferiscono far perdere le proprie tracce piuttosto che tornare a casa, dove rischiano di essere additati come “falliti” e motivo di vergogna. Proprio in queste situazioni entra in gioco l’ennesimo partner di Vis, Coopi, che tra le proprie attività prevede il supporto psicologico ai migranti di ritorno. Non solo città di passaggio, quindi: quella nata intorno a Tambacounda è una realtà di cooperazione che copre gli aspetti della migrazione a 360 gradi.