Colpita da una grave crisi umana, Detroit vuole rinascere in senso missionario. E il suo Centro Pime vuole essere in prima linea
Il 3 giugno 2017, vigilia di Pentecoste, l’arcivescovo di Detroit monsignor Allen Vigneron ha indirizzato alla Chiesa di Detroit la lettera pastorale Unleash the Gospel, “Sguinzagliate il Vangelo”. Un’esortazione a vivere e condividere la propria fede come joyful missionaries, missionari gioiosi. La lettera raccoglieva le conclusioni del Sinodo diocesano del novembre 2016 e auspicava una profonda trasformazione in senso missionario dell’arcidiocesi, a partire dalle famiglie, dalle parrocchie, dagli ambienti di lavoro dove sono presenti i cattolici, invitati a condividere la fede soprattutto grazie a un rapporto personale one to one. L’arcivescovo, in sostanza, ha inviato i suoi fedeli come missionari tra i loro vicini di casa, tra colleghi e amici. E al termine della Clergy Convocation, un incontro biennale con tutti i sacerdoti della diocesi avvenuto a metà ottobre scorso, monsignor Vigneron ha lanciato anche a noi preti un appello riguardante l’evangelizzazione nella città di Detroit. Un appello che noi, come Centro missionario Pime, non possiamo disattendere.
Ma per capire da cosa nasce questa urgenza di missionarietà, bisogna conoscere il contesto della città. Una prima distinzione che va fatta è quella tra Detroit City, cioè la Detroit vera e propria, e Metro Detroit, l’area metropolitana. Due realtà estremamente diverse fra loro.
Detroit City è il cuore della città, fondata intorno al 1701 da cacciatori di pellicce francesi. L’11 giugno del 1805 vi si contavano trecento palazzi, il giorno dopo ne erano rimasti solamente due: un incendio distrusse quasi tutta la città, allora costruita in legno. è in questo momento che padre Gabriel Richard, un sacerdote sulpiziano francese emigrato lì alcuni anni prima, in risposta al disastro come prima cosa decise di stabilire l’adorazione eucaristica perpetua. Poi iniziò a ricostruire gli edifici, ponendo le basi per fare di Detroit quella che sarebbe diventata negli anni Venti del Novecento la Motor City, faro a livello mondiale dell’industria automobilistica. E tutto partendo dall’adorazione eucaristica!
Sebbene avesse infrastrutture pensate per quattro milioni di abitanti, però, Detroit non avrebbe mai raggiunto il milione.
Dopo la recessione del 1929, le rivolte razziali del 1943 e soprattutto i disordini del 1967 (noti come riot), la popolazione benestante si è spostata nell’area metropolitana. A questo si è aggiunta la grande recessione del 2008, unita al fallimento di Chrysler e di General Motors l’anno seguente, che l’hanno spinta ancora più verso il basso fino alla sua colossale bancarotta del 2013.
Oggi Detroit City conta circa 670 mila abitanti e le cicatrici del suo passato sono ancora visibili, nonostante la ripresa economica: si contano circa 70 mila case abbandonate e 20 mila senzatetto, molti con problemi mentali o di droga e alcolismo. Uno sguardo alla composizione etnica e religiosa completa il quadro: la città è composta all’82% da afroamericani, al 10% circa da caucasici, al 7% da ispanici e il 2% circa sono asiatici. I cattolici erano un tempo il 51% della popolazione, oggi sono meno del 7%. Secondo uno studio del Pew Research Center, condotto tra il 2018 e il 2019, in tutti gli Stati Uniti il 4% degli adulti si professa ateo; il 5% agnostico, mentre il 17% si considera come non appartenente a “nessuna religione in particolare”: sono i cosiddetti nones. Ma a Detroit City il numero dei nones sfiora il 53%, oltre tre volte la media nazionale.
Ad affiancare la crisi economico-finanziaria c’è sempre stata una profonda crisi antropologica. Una crisi di senso che non riguarda solo Detroit ma tutti gli Stati Uniti, e che ha reso il nostro un contesto in cui vediamo una crescita assurda e smisurata di morte: depressione, suicidi, dipendenze… Un esempio: negli States muoiono di overdose 130 persone ogni giorno. Di fronte a questo si capisce il bisogno di voler ri-fondare un’arcidiocesi in senso missionario e perché il Pime può giocare un ruolo rilevante in questa regione. Mai come adesso la nostra società ha bisogno di missionari! Questa missione è interessante perché non si tratta semplicemente di una “nuova evangelizzazione”. Il nostro Centro missionario, come ha detto Papa Francesco alla nostra Direzione Generale, non esiste per occupare un territorio, ma per generare dei processi; non cerchiamo soci per una società, ma apriamo spazi a Gesù. È Gesù che converte, non le nostre attività o i nostri stratagemmi. L’evangelizzazione non è una cosa che si programma a tavolino, non c’è una ricetta. È lo Spirito che ispira il cuore delle persone, è un miracolo interiore.
Al Detroit Institute of Art c’è una tela di Caravaggio, la Conversione di Maria Maddalena. I soggetti sono Marta e la Maddalena. Marta è impegnata a spiegare a Maria le ragioni della sua fede, le elenca una ad una sulla punta della dita. Ma le sue mani e la sua spalla sono illuminate da una luce che la attraversa e raggiunge il volto e il cuore di Maria. La vera protagonista del quadro è quella luce, è Gesù Cristo, luce del mondo. Maria non guarda Marta, ma la luce. E nello stesso attimo Gesù fiorisce nel suo cuore. La fonte di ogni conversione è sempre e soltanto Gesù!
Ed è da lui che dobbiamo ripartire. Gesù chiamò a sé i discepoli «perché stessero con lui e per andare a predicare» (Mc 3,13-15). Il primo passo è “stare”, essere in comunione con Gesù. Ecco perché padre Gabriel Richard, come prima cosa, stabilì l’adorazione eucaristica perpetua. Solamente dopo si è inviati. Detroit City è chiamata ancora una volta a risorgere dalle ceneri e noi, come missionari in questa città, non possiamo che guardare, come Maria Maddalena, alla sorgente della nostra fede.