Secondo la tradizione, la Sacra famiglia dimorò qui per tre anni: un’eredità di fede di cui vanno orgogliosi i cristiani copti, che si preparano a celebrare il Natale tra precarietà e voglia di contare
El Matareya, quartier generale di numerose compagnie petrolifere a una manciata di chilometri a est del Cairo, duemila anni fa era parte dell’antica città di Heliopolis, in cui viveva una nutrita colonia giudea. È proprio qui che, lungo la sua fuga da Israele, la Sacra famiglia avrebbe sostato, riposandosi sotto le fronde di un sicomoro vicino al quale sorse una fonte d’acqua miracolosa. Il tronco contorto di quello che ancora oggi è conosciuto come l’“albero di Maria” resiste, appoggiato a grossi supporti di legno, nel cortile del santuario meta fin dal Medio Evo di pellegrini e fedeli locali. Il neonato Gesù, insieme ai suoi genitori e – secondo la tradizione di qui – anche una “tata” di nome Salome, avrebbe percorso l’Egitto, dal Sinai fino ad Assiut, in un viaggio lungo tre anni e ben duemila chilometri, toccando città, monti, villaggi ai margini del deserto.
Rivendicano con orgoglio questa lunga storia di fede i copti, che fanno risalire le proprie origini di Chiesa alla predicazione dell’evangelista Marco e si considerano gli “egiziani originari”, come suggerisce il loro nome che proviene dal termine greco aigyptios. D’altra parte, sono numerosi gli elementi culturali che collegano direttamente questa comunità, che costituisce circa il 10% dei 100 milioni di abitanti e rappresenta dunque in numeri assoluti la più grande minoranza cristiana in Medio Oriente, alla civiltà dei faraoni: dalla lingua, erede diretta di quella parlata nell’antico Egitto, al calendario.l Matareya, quartier generale di numerose compagnie petrolifere a una manciata di chilometri a est del Cairo, duemila anni fa era parte dell’antica città di Heliopolis, in cui viveva una nutrita colonia giudea. È proprio qui che, lungo la sua fuga da Israele, la Sacra famiglia avrebbe sostato, riposandosi sotto le fronde di un sicomoro vicino al quale sorse una fonte d’acqua miracolosa. Il tronco contorto di quello che ancora oggi è conosciuto come l’“albero di Maria” resiste, appoggiato a grossi supporti di legno, nel cortile del santuario meta fin dal Medio Evo di pellegrini e fedeli locali. Il neonato Gesù, insieme ai suoi genitori e – secondo la tradizione di qui – anche una “tata” di nome Salome, avrebbe percorso l’Egitto, dal Sinai fino ad Assiut, in un viaggio lungo tre anni e ben duemila chilometri, toccando città, monti, villaggi ai margini del deserto.
Un’appartenenza ancestrale alla propria terra che, tuttavia, non è bastata a proteggere i copti da costanti persecuzioni, divampate già sotto l’imperatore romano Diocleziano e rafforzatesi dopo l’islamizzazione, in particolare dal XIII secolo, con tumulti anticristiani e leggi discriminatorie.
Fino ai giorni nostri, quando le nuove forme di terrorismo a matrice islamista sono tornate a mettere nel mirino, insieme alle forze dell’ordine e alle correnti musulmane sufi, proprio i cristiani. Due anni fa una serie di drammatici attentati, che arrivarono a colpire la capitale, provocò un centinaio di vittime in pochi mesi. Oggi la politica del pugno di ferro perseguita dal presidente Abdel Fattah Al Sisi sembra ottenere qualche risultato, ma la situazione resta fortemente precaria.
«E pensare che i copti hanno avuto una parte fondamentale nel rinascimento politico e culturale iniziato in Egitto nel XIX secolo!», nota Loula Lahham, firma di Al-Ahram Hebdo e caporedattrice dell’unico settimanale cattolico del Paese, Le Messager. La giornalista cita alcuni nomi noti anche a livello internazionale, come il celebre cineasta Youssef Chahine, il sesto segretario generale delle Nazioni Unite Boutros Boutros-Ghali ma anche gli uomini d’affari della famiglia Sawiris. E sottolinea il prezzo pagato dai cristiani nel convulso periodo dopo la caduta del regime di Mubarak: «Ricordo solo i fatti di Maspero, nel 2012, quando in centinaia scesero in piazza per protestare contro la demolizione di una chiesa in un villaggio dell’alto Egitto. La manifestazione si trasformò in un massacro, con la morte di 28 persone schiacciate da veicoli militari».
Nella vita quotidiana, oggi, i copti condividono le stesse sfide di tutti i loro compaesani: difficoltà economiche, corruzione diffusa, diritti civili e democratici azzoppati da un sistema politico autoritario, in cui i partiti contano pochissimo e l’opposizione non è tollerata. In più, però – rimarca Lahham -, «subiscono preclusioni in alcuni settori della vita professionale e accademica, la loro presenza è rara nella polizia, nelle forze armate e nella magistratura, difficilmente abbiamo dei diplomatici e persino giocare a calcio in un grande club è ufficiosamente proibito ai giovani cristiani».
Ma queste discriminazioni si verificano anche a livello di società civile, nei rapporti tra i semplici cittadini? «Dipende. A fare la differenza – spiega la giornalista – sono il contesto sociale e il grado di istruzione: dove c’è ignoranza attecchiscono i messaggi degli shaikh che predicano un islam fondamentalista, spesso legato a tradizioni religiose medievali». Una situazione asfittica, che negli anni scorsi ha spinto molti cristiani a emigrare.
Quelli che restano, tuttavia, non smettono di impegnarsi per migliorare la propria condizione e contribuire allo sviluppo del loro Paese. Cercando di vedere – nonostante le gravi contraddizioni – “il bicchiere mezzo pieno” dell’era Al Sisi, il generale trasformatosi in presidente dopo l’intervento dell’esercito che nel giugno 2013 depose con la forza l’esponente della Fratellanza musulmana Mohamed Morsi, e riconfermato al potere lo scorso marzo con il 97% dei voti.
«Il governo ha rafforzato il controllo sulle moschee e monitora con attenzione il tipo di messaggio che viene veicolato dai predicatori», sostiene padre Rafic Greiche, portavoce delle Chiese cattoliche in Egitto. Il sacerdote si dice soddisfatto anche del recente provvedimento volto a legalizzare i luoghi di culto cristiani costruiti o ristrutturati senza i permessi ufficiali (quando era praticamente impossibile ottenerli).
«Si tratta di una buona legge, sebbene non perfetta, che ha già sanato la situazione di oltre duemila chiese di tutte le confessioni. E ora è allo studio un nuovo codice di diritto civile specifico per i cristiani, anche se si tratta di un processo lento perché le Chiese stesse non concordano su alcuni punti, come ad esempio il divorzio, previsto dagli ortodossi ma non dai cattolici».
Ma qual è il clima che si respira nella società? «Vedo una maggiore tendenza all’apertura e alla tolleranza», afferma padre Rafic. «Da una parte, dopo aver constatato l’assoluta inadeguatezza dei Fratelli musulmani a governare, in molti hanno cambiato idea sull’opportunità di un modello di società islamica, basata sulla shari’a. Dall’altra, il cambiamento di politica dell’Arabia Saudita, che ha introdotto riforme in patria e ha cessato di finanziare i movimenti wahhabiti all’estero, sta avendo delle ripercussioni anche qui». Tuttavia, «il movimento salafita è ancora presente e, nell’ombra, continua a operare per riuscire a tornare al potere».
In questo scenario, si cerca di rafforzare i legami tra la comunità cristiana e quella musulmana, sulla scia degli importanti passi compiuti in questa direzione dai leader delle due religioni, a cominciare dalla firma della dichiarazione comune sulla Fratellanza umana sottoscritta ad Abu Dhabi da Papa Francesco e da Ahmed Al Tayyeb, grande imam di Al Azhar, l’istituzione cairota punto di riferimento per il sunnismo globale. «Si tratta di un testo molto significativo, che viene studiato nelle università e su cui si organizzano incontri e conferenze, ma non è il documento che cambierà la mentalità qui: per questo serve un lavoro educativo di base», sostiene padre Greiche.
Ne è convinto anche monsignor Hani Bakhoum Kiroulos, ausiliare del patriarca copto cattolico, che ha sede non lontano dal parco Ibn Sendar al Cairo sebbene la diocesi propria del patriarcato sia l’eparchia di Alessandria. «La convivenza si costruisce ogni giorno, nel rapporto tra vicini di casa, compagni di classe, colleghi di lavoro», spiega. D’altro canto, anche il dialogo tra le diverse Chiese cristiane deve affrontare la prova della quotidianità e dei problemi pratici: «Il più grave – chiarisce il vescovo – è il mancato riconoscimento da parte degli ortodossi dei sacramenti dei cattolici. Questo significa, ad esempio, che se una ragazza cattolica vuole sposare un uomo ortodosso è obbligata a ripetere il battesimo». Intralci importanti sul cammino dell’unità in seno alle comunità e alle stesse famiglie. «Molti nuclei, in particolare nel Sud dell’Egitto, sono misti: superare le differenze tra confessioni diventa allora una questione di serenità quotidiana. Proprio per evitare divisioni nelle famiglie, in quella regione i cattolici celebrano il Natale il 7 gennaio, insieme agli ortodossi», racconta monsignor Bakhoum.
Altrove, invece, i copti cattolici festeggeranno il 25 dicembre, dopo aver osservato quindici giorni di digiuno: niente carne né prodotti derivati dagli animali, «per arrivare preparati alla sera della Natività».
Le vacanze ufficiali, in Egitto, saranno però a gennaio, visto che la comunità ortodossa è quella nettamente maggioritaria nel Paese. La Filarmonica del Cairo proporrà alcune serate di musiche natalizie, nelle parrocchie si organizzeranno festival ed esibizioni di canti tradizionali, mentre Babbo Natale distribuirà doni ai bambini più poveri. Da alcuni anni il presidente ha inaugurato la consuetudine di partecipare, insieme ad alcuni ministri, alla Messa solenne celebrata dal patriarca copto ortodosso Towadros (tra imponenti misure di sicurezza…). Sede della celebrazione, dall’anno scorso, è la mastodontica chiesa della Natività inaugurata, insieme a una grande moschea, nella nuova capitale amministrativa a est del Cairo. La linea dell’armonia confessionale è fortemente sponsorizzata da Al Sisi, che la esibisce come un vessillo anche davanti alla comunità internazionale. A livello di base, non mancano gli imam che in occasione delle feste usano fare visita alle chiese vicine per portare i propri auguri ai cristiani, ma questi rapporti restano piuttosto superficiali.
A 385 chilometri dal Cairo, nel governato di Assiut nell’Alto Egitto, saranno antichissimi inni liturgici a risuonare, a Natale, tra le mura del monastero di Al Muharraq, adagiato tra le sabbie desertiche del monte Qusqam. Questo complesso color zafferano, che fa parte della diocesi copta ortodossa di Al Qusia, custodisce un tesoro prezioso: l’antica chiesa della Beata Vergine Maria, che con i suoi muri asimmetrici costruiti con mattoni asciugati al sole rappresenta una tappa fondamentale lungo il cammino della Sacra famiglia.
Nel loro percorso in Egitto, Giuseppe e Maria con il Bambino si fermarono a Qusqam sei mesi: questa chiesa, secondo la tradizione, è l’unica ancora esistente ad essere stata consacrata dallo stesso Gesù». A raccontarlo è padre Philxenous Al Muharraque, monaco del sito veneratissimo dai fedeli locali e tradizionalmente considerato una “Seconda Gerusalemme” dai copti di Etiopia. Un luogo di pace e silenzio, che si anima in occasione delle festività e in particolare a giugno, quando ricorre l’anniversario della consacrazione della chiesa della Vergine: «Per dieci giorni, riceviamo la visita di decine di migliaia di pellegrini, tra cui anche numerosi musulmani», racconta padre Philxenous. Il quale considera una buona opportunità la decisione del governo di candidare la Via della Sacra famiglia a sito protetto dall’Unesco. «Abbiamo avuto varie visite da parte di esponenti del ministero del Turismo, che stanno cercando di preparare un dossier solido. Penso che la scelta di inserire le mete religiose tra le rotte classiche dei visitatori possa creare occasioni di sviluppo economico, in un momento in cui la gente vive in gravi ristrettezze».
Anche sul tentativo di rilanciare i flussi turistici dall’estero incombe però la grave incognita legata alla sicurezza. Il presidente, che ne aveva fatto il punto fondamentale della propria campagna elettorale, a fine ottobre ha prorogato per la decima volta lo stato di emergenza nazionale di tre mesi: un provvedimento che però dà adito ad abusi e forme di repressione verso giornalisti e oppositori. Padre Rafic Greiche ripone una certa speranza nelle recenti mobilitazioni dei giovani arabi, dal Sudan al Libano: «Mi auguro che il presidente, osservando ciò che capita altrove, capisca che è fondamentale aumentare la libertà di espressione».
Ai suoi giovani la Chiesa copta cattolica dedica un’attenzione particolare. Monsignor Hani Bakhoum tiene a sottolinearlo: «Per loro organizziamo incontri e iniziative, puntando soprattutto sulla formazione, culturale, sociale, sui diritti. È questa la chiave per il cambiamento, per noi cristiani e per il Paese intero».