Sahel: la fame e i suoi conflitti

Sahel: la fame e i suoi conflitti

SPECIALE «FRATELLI TUTTI»
L’area tra Niger, Mali e Burkina Faso è quella in cui la denutrizione avanza in modo drammatico. L’appello di Papa Francesco: cibo anziché armi

 

«La politica mondiale non può tralasciare di porre tra i suoi obiettivi irrinunciabili quello di eliminare la fame» (Fratelli tutti, 189)

Non è un caso che la lunga odissea di padre Pierluigi Maccalli si sia consumata proprio nel cuore del Sahel, l’area del mondo dove oggi appare più grave l’emergenza fame. Come su queste pagine abbiamo già raccontato i rapimenti – insieme agli attacchi violenti di matrice jihadista – si intrecciano infatti con la grave crisi umanitaria che questa regione dell’Africa sta vivendo ormai da troppo tempo. Qualche settimana fa la Fao, l’Unicef e il World Food Programme – l’agenzia dell’Onu che all’inizio di questo mese viene insignita del premio Nobel per la pace per il suo impegno nella lotta alla fame nelle aree di conflitto – hanno lanciato un nuovo appello che riguarda proprio il Niger, il Mali e il Burkina Faso. Si stima che su una popolazione complessiva di circa 60 milioni di persone che vivono tra questi tre Paesi ben 7,4 milioni non abbiano oggi la sicurezza di garantirsi un pasto.

L’intreccio tra le carestie provocate dagli effetti del cambiamento climatico, gli scontri tra pastori in cerca di pascoli e agricoltori e la penetrazione dei gruppi jihadisti ha creato in Africa Occidentale un contesto in cui la fame e le violenze si alimentano a vicenda.

Particolarmente impressionante il dato sugli sfollati interni, che fuggono dai propri villaggi a causa di attacchi e conflitti ma senza uscire dai confini della propria regione: in soli due anni sono passati da 70 mila agli odierni 1,8 milioni. Estendendo poi lo sguardo all’intero Sahel – la fascia ai limiti del deserto che corre lungo tutta l’Africa dal Gambia fino all’Eritrea – sono 12 milioni le persone che si trovano ad affrontare una grave carenza di cibo.

È in questo contesto esplosivo che i gruppi fondamentalisti islamici reclutano le loro milizie, sfruttando la povertà ma anche la debolezza delle istituzioni locali per seminare il terrore. «Che si sia musulmani, cristiani, cattolici, protestanti o di credenza africana tradizionale – commentava monsignor Laurent Birfuoré Dabiré, vescovo di Dori e presidente della Conferenza episcopale Burkina-Niger in un recente rapporto diffuso dal Catholic Relief Services – il terrorismo non risparmia nessuno e fa perdere a tutti i propri mezzi di sussistenza, la casa, le attività, la vita e la libertà per coloro che sono stati presi in ostaggio».

L’emergenza fame nel Sahel, però, è un caso tutt’altro che isolato nel mondo. Nonostante il secondo degli Obiettivi di sviluppo sostenibile fissati dall’Onu nel 2015 ambisca per il 2030 a «porre fine alla fame e garantire a tutte le persone un accesso sicuro a cibo nutriente e sufficiente per tutto l’anno», a livello globale le cose stanno infatti andando in senso esattamente contrario. Il rapporto Sofi (State of Food Security and Nutrition in the World) attraverso il quale la Fao fotografa la situazione dell’alimentazione nel mondo registra ormai da alcuni anni un aumento costante di quanti soffrono la fame. Se infatti la percentuale resta stabile intorno all’8,9% della popolazione mondiale, in termini assoluti il numero di quanti non hanno da mangiare aumenta comunque: oggi rispetto al 2015 sono complessivamente 60 milioni in più, cioè l’equivalente della popolazione italiana.

Accadeva già prima dell’inizio della pandemia. E tutto lascia pensare che oggi la situazione stia sensibilmente peggiorando con il Covid-19, perché anche in tutti quei Paesi dell’Asia e dell’Africa in cui il Coronavirus nelle statistiche ufficiali sta facendo registrare meno contagi e meno vittime rispetto all’Europa o alle Americhe le conseguenze economiche dei lockdown e della crisi sono pesantissime. La stima più recente della Banca mondiale dice che – a seconda dei diversi scenari possibili – vi saranno nel mondo tra gli 88 e i 114 milioni di persone che solo nel 2020 saranno state gettate dalla pandemia nella povertà estrema.

Di fronte a questo dramma servirebbero risposte eccezionali. Ma da mettere in campo dalla comunità internazionale con quali risorse? Nella sua nuova enciclica Papa Francesco torna a suggerire una strada precisa, che già Paolo VI cinquant’anni fa aveva indicato: «Con il denaro che si impiega nelle armi e in altre spese militari – scrive al numero 262 di Fratelli tutti – costituiamo un Fondo mondiale per eliminare finalmente la fame e per lo sviluppo dei Paesi più poveri, così che i loro abitanti non ricorrano a soluzioni violente o ingannevoli e non siano costretti ad abbandonare i loro Paesi per cercare una vita più dignitosa».

Viene da chiedersi: si tratta di una bella utopia o davvero liberare risorse dalla corsa agli armamenti potrebbe avere un impatto decisivo sulla lotta alla fame? Per rispondere occorre innanzitutto chiedersi quanti soldi servirebbero oggi per vincere la fame nel mondo. Le stime evidentemente variano molto a seconda del tipo di interventi ipotizzati, ma anche assumendo la proposta più ambiziosa – formulata da Fao, Ifad e World Food Programme, i tre organismi Onu che si occupano di alimentazione – tra aiuti in aree povere, sviluppo agricolo, moderni sistemi di irrigazione e infrastrutture occorrerebbero ogni anno 265 miliardi di dollari.

Quanti sono invece i soldi spesi in armamenti? La stima del Sipri, l’istituto di Stoccolma ritenuto più attendibile nel monitoraggio in materia, parla di 1.917 miliardi di dollari, cioè oltre sette volte tanto. E c’è anche un altro dato ancora più significativo: tra il 2010 e il 2019 la spesa in armamenti è cresciuta del 7,2%. Dati alla mano questo significa che se solo il mondo avesse scelto di non aumentare ulteriormente la quantità di denaro destinata all’acquisto di materiale bellico, la metà della cifra apparentemente astronomica indicata da Fao, Ifad e World Food Programme come necessaria per sconfiggere la fame sarebbe stata disponibile.

Sono solo accostamenti di numeri in una realtà che – lo sappiamo bene – è complessa. E certamente bisogna poi ragionare anche sul modo in cui questi grandi organismi internazionali spendono le risorse già oggi destinate alla lotta all’insicurezza alimentare. Ma il fatto che proprio mentre aumenta la spesa per le armi crescano anche gli affamati qualcosa dovrebbe suggerircelo. Sempre ammesso che un mondo “a fame zero” lo vogliamo davvero.