Dalle sabbie del Sahara alla savana del Sahel, padre Alberto Sambusiti si è sempre preso cura di minuscole comunità cristiane che accompagna in cammini di formazione e crescita che stanno dando molti frutti
Cercatore d’acqua e di Dio. Cercatore di se stesso. Padre Alberto Sambusiti, 74 anni, missionario del Pime originario di Crema, ha attraversato Paesi e confini, cercando sempre di mettere radici e di far germogliare i frutti dell’incontro là dove è stato inviato: dal Camerun alla Costa d’Avorio, dall’Algeria e di nuovo al Camerun, dove si trova attualmente. Per lui che è un rabdomante, spesso “fare missione” ha significato cominciare da qualcosa che nella vita reale delle persone e a livello simbolico significa vita: ovvero l’acqua.
«È un dono, rispetto al quale molti sono scettici – ci dice -. Ma è qualcosa di assolutamente reale: ho sempre trovato l’acqua, spesso riuscendo a individuare profondità e larghezza della vena, la presenza di roccia e così via».
Un dono che è tornato utile a lui, ai confratelli e alla gente che lo ha accolto in molte occasioni e situazioni. Anche perché spesso padre Alberto si è trovato a vivere in contesti molto aridi dove l’acqua è un bene raro e preziosissimo. Per quattro anni, è stato nel deserto dell’Algeria, ad Hassi Messaoud, per un ministero molto particolare con i lavoratori delle basi petrolifere.
È una delle missioni agli “estremi confini” – in tutti i sensi – di cui il Pime si è fatto carico negli ultimi anni: i confini sterminati del Sahara, ma anche quelli di un’umanità calata letteralmente in mezzo al deserto per estrarre petrolio, con ritmi di vita e possibilità di relazioni stravolti da esigenze lavorative molto stringenti.
«Nelle basi petrolifere di Hassi Messaoud, ci sono circa 400 compagnie e 3.500-4.000 lavoratori stranieri provenienti da tutto il mondo. Molti sono cristiani, ma non hanno alcuna possibilità di vivere la loro fede attraverso momenti comunitari o celebrazioni. Grazie all’aiuto delle compagnie italiane, siamo riusciti alcuni anni fa a ristrutturare la chiesetta di Nostra Signora delle Sabbie. Quando sono arrivato, celebravo la Messa due volte la settimana: il venerdì e la domenica con le missionarie dell’Immacolata e un piccolissimo gruppo di lavoratori, che venivano sempre scortati dai militari. Poi, a causa della minaccia terroristica e dell’inasprirsi delle misure di sicurezza, non è stato più possibile farlo».
E così padre Alberto si è “convertito” a quello che chiama scherzosamente “l’apostolato delle cene”. «Andavo io nelle basi, dove però era possibile solo cenare con i lavoratori e chiacchierare un po’. Non si poteva né celebrare né pregare insieme. Per questo – a volte anche con le suore dell’Immacolata – cercavamo di passare un po’ di tempo con chi lo desiderava, ma soprattutto condividevamo il momento della cena. Adesso purtroppo non è più garantita neppure questa piccola presenza: non c’è più un prete permanente ad Hassi Messaoud, e a Touggourt, che è la località relativamente più vicina a circa 300 km di distanza, dove è presente il Pime, c’è solo un sacerdote».
È qui che lo stesso padre Alberto trascorreva alcuni giorni ogni settimana per poter condividere un minimo di vita comunitaria con i confratelli e con le Piccole sorelle, che a Touggourt sono una specie di “istituzione”, perché è proprio qui che vennero fondate dalla piccola sorella Magdeleine.
Oggi, sono loro le uniche cristiane rimaste sul posto, una presenza di dialogo nella quotidianità con la popolazione algerina.
Dal 2017, padre Sambusiti è tornato a solcare le strade polverose e piene di vita dell’Africa subsahariana, anche se, dopo una parentesi nella caotica e congestionata capitale camerunese Yaoundé, ora si trova nelle atmosfere più rarefatte del Sahel, a Maroua, nella regione dell’Estremo Nord del Paese. Anche qui i cristiani sono una piccola minoranza in un contesto prevalentemente musulmano, in cui, tuttavia, è possibile vivere e testimoniare il Vangelo apertamente nel rispetto delle diversità. Pure questa regione, incuneata tra Nigeria e Ciad, non è però esente da tensioni, dovute all’infiltrazione di correnti islamiche più fondamentaliste, ma anche alle incursioni dei terroristi di Boko Haram.
«Da diversi anni ormai, tutti i missionari stranieri hanno dovuto lasciare le zone di frontiera perché insicure – conferma padre Alberto – ed è rimasto solo il clero locale. La città di Maroua è sostanzialmente tranquilla grazie alla presenza di molti militari, ma in savana ci sono spesso attacchi. Anche sul territorio della mia parrocchia di Meskine, che comprende diverse cappelle nella brousse, ci sono stati assalti e saccheggi, difficile dire se a opera di terroristi o di banditi. Sta di fatto che anch’io, come straniero, se mi muovo al di fuori delle cappelle sono costretto a chiedere la scorta».
Nella parrocchia di Meskine, nata otto anni fa alla periferia di Maroua, la situazione è calma ed è possibile portare avanti le molte attività avviate dai missionari del Pime negli anni scorsi e di cui attualmente si fa carico padre Alberto insieme a un prete diocesano, padre Henri.
«Abbiamo circa 200 battezzati e un buon numero di catecumeni e simpatizzanti – racconta -. Si tratta di una parrocchia missionaria a tutti gli effetti, in mezzo a una popolazione di etnie diverse – giziga, tupuri, mfou, moundang – che seguono in parte le religioni tradizionali, anche se siamo in una zona a grande maggioranza musulmana. C’è una certa vitalità e la chiesa è sempre piena, anche perché qui ci sono molti bambini e giovani».
Ed è proprio a loro che è stata dedicata un’attenzione particolare: gruppi di catechesi, di chierichetti, associazionismo sul modello dell’Azione Cattolica ragazzi… Il Pime ha costruito e avviato anche una scuola elementare che è passata recentemente alla diocesi e un asilo gestito dalla Fondazione Betlemme di padre Danilo Fenaroli, pure lui missionario del Pime a Mouda.
«I catechisti sono per noi un supporto fondamentale per riuscire ad arrivare in tutte le comunità sparse nella savana. Ne abbiamo una trentina: alcuni sono molto giovani, e per questo cerchiamo di garantire una formazione continua, con un incontro al mese. Ci sono anche quattro donne che si occupano dei più piccoli».
Un’altra grande sfida è quella della famiglia. Sono pochissime quelle cristiane e spesso hanno situazioni particolari: si tratta in larga parte di matrimoni combinati, celebrati al villaggio e non in chiesa. Ma frequentano la parrocchia e alcune di loro hanno intrapreso un cammino che però richiede tempo. «Non mettiamo nessuna fretta. Rispettiamo i loro tempi e quelli del Signore». MM