Le riflessioni di una studentessa universitaria che ha partecipato al progetto “Mission Exposure”: «In Giordania, accanto ai profughi siriani e iracheni, ho imparato molto, specialmente dalle persone che avrei dovuto aiutare»
Mi piace pensare che Qualcuno abbia scelto, per me, la Giordania. In parte, in effetti, è andata proprio così. Ho partecipato al progetto “Mission Exposure: esporsi alla missione” del Centro Pastorale dell’Università Cattolica del Sacro Cuore e del Pontificio Istituto Missioni Estere. Padre Alessandro e Matteo Brognoli hanno pensato che questo potesse essere il posto giusto per la mia esperienza di missione e mi hanno affidata all’associazione “Non Dalla Guerra”.
Sono così partita per la Giordania, dove mi sono confrontata con progetti di assistenza ai profughi siriani e iracheni. Il Caritas Center, in particolare, è un luogo che mi è entrato nel cuore. Racconta le storie di tanti, racconta storie di dolori e di perdite, racconta storie che spesso non si vogliono ascoltare, racconta storie che si somigliano, ma racconta anche storie uniche.
È un luogo capace di custodire tutte queste storie. Un luogo fatto di hijab, abiti lunghi, kefiah e croci; un luogo che non giudica, ma riconosce l’umanità e la dignità, le rispetta e le promuove; un luogo di solidarietà, dove però si costruisce anche la pace.
In questo luogo ho imparato tanto, specialmente da quelle stesse persone che avrei dovuto aiutare. Ho imparato dal loro coraggio, dalla loro forza e dalla loro umiltà. Ho imparato a sospendere giudizi morali, etici e religiosi. Ho ascoltato molto prima di parlare. Ho davvero compreso perché abbiamo due orecchie e una sola bocca.
Ho anche pianto molto perché mi sono sentita pervasa da un asfissiante senso di impotenza. Ho pianto quando ho ascoltato storie di madri senza soldi per il latte dei loro neonati e di padri che non potevano permettersi di curare i figli malati.
Mi sono sentita piccola e permeata da un grande senso di colpa per un mondo tanto ingiusto. Mi sono sentita una privilegiata. Lo sono, in verità. Ho tutto nella mia vita: una famiglia che mi ama, una casa accogliente, un’istruzione eccellente, una sanità capace di curarmi senza dover pagare. Ho meritato tutto questo? Direi di no. Sono nata semplicemente dalla parte “giusta” del mondo.
Non so cosa possa significare camminare dieci giorni per superare il confine siriano e fuggire dalla guerra lasciando casa, famiglia, amici e pezzi di vita tra le lacrime per i propri cari che non ce l’hanno fatta. Non so cosa significhi avere paura di morire a causa della guerra. Posso capire, però, il bisogno di generare nuove vite per ogni vita spezzata, nonostante le difficoltà economiche. Posso capire la speranza di costruire un futuro nuovo, il desiderio di scrivere una storia che non parli solo di morte e disperazione.
Non so se loro mi ricorderanno; io so per certo che non li dimenticherò e non dimenticherò le loro storie. Mi ricordano di costruire un oggi di pace, partendo dalle piccole cose.