Continuano le manifestazioni in Iran che vedono protagoniste soprattutto le donne. E continua la feroce repressione della polizia morale iraniana, nata per far rispettare il codice di abbigliamento e le regole islamiche e oggi al centro delle proteste che minacciano il regime degli Ayatollah
Che cos’è la polizia morale iraniana?
La polizia morale (Gasht-e Ershad in farsi) è un corpo delle forze dell’ordine iraniane con il compito di assicurare il rispetto dei costumi tradizionali e in particolare il codice di abbigliamento islamico, introdotto all’indomani della Rivoluzione del 1979, che prevede l’obbligo per le donne di indossare un hijab (velo) e abiti che mascherino la figura. La morte della 22enne Mahsa Amini lo scorso 16 settembre mentre era detenuta proprio per non avere indossato correttamente il velo ha riacceso i riflettori su questa contestata istituzione, scatenando un’ondata di proteste.
Come è nata la Gasht-e Ershad?
L’uso del velo fu imposto dalla guida suprema Ruhollah Khomeini, all’inizio con la persuasione e poi, dal 1981, con le prime norme che ne istituivano l’obbligo. Una legge del 1983 sancisce una pena di 74 frustate per chi non si copre i capelli in pubblico. La polizia morale, che spesso si avvale del Basij, una forza paramilitare mobilitata per combattere nella guerra tra Iran e Iraq, fu istituzionalizzata nel 2005 per volere del presidente ultraconservatore Mahmoud Ahmadinejad. Con il tempo il suo margine di intervento si è ampliato, così come la discrezionalità di azione (una ragazza può essere arrestata per un rossetto giudicato troppo vistoso) e la brutalità dei metodi. Lo scorso agosto, infine, il giro di vite del neo-presidente Ebrahim Raisi, con una nuova lista di restrizioni (che colpiscono duramente per esempio chi pubblica foto senza hijab sui social) e l’aumento degli interventi della polizia per fare rispettare la legge.
Cosa è successo negli ultimi mesi?
In seguito al decreto molte donne, in segno di protesta, avevano deciso di non portare il velo in varie città iraniane, filmandosi e condividendo i video sui propri profili social. Una mobilitazione che aveva portato a un’ondata di arresti, con le ragazze costrette a confessioni forzate sulla tv pubblica. La morte di Mahsa Amini, infine, ha rappresentato la scintilla che ha fatto scoppiare una rivolta su larga scala in tutto il Paese. Il governo ha risposto con una brutale repressione: le vittime sono già circa 300, tra cui decine di minorenni. Le proteste, tuttavia, non si fermano e potrebbero infliggere un duro colpo al regime degli Ayatollah.