L’esperienza delle Missions Etrangères de Paris che dall’Europa nel XVII secolo aprirono la strada all’annuncio ad gentes. Il superiore generale padre Sénéchal: «In cammino con Chiese ancora piccole, ma sempre più protagoniste della missione»
Nel 1663 sono quelli che hanno aperto la strada. Ma ancora oggi dalla loro storica sede in rue du Bac continuano a gettare ponti tra la Francia e le Chiese dell’Asia. L’esperienza delle Missions Etrangères de Paris (Missioni Estere di Parigi, Mep) è stata fin dalla sua fondazione un punto di riferimento per il Pime. E ora ha il volto di un’amicizia tra chi condivide un’esperienza e uno sguardo per molti versi simili sulla missione.
«Attualmente siamo circa 150 missionari presenti in 14 diversi Paesi: 12 in Asia e due nell’Oceano Indiano, Madagascar e isole Mauritius – spiega il superiore generale padre Vincent Sénéchal, per anni missionario in Cambogia -. Nel XVII secolo fummo fondati per accompagnare la crescita delle Chiese nei Paesi dell’Asia. Che cosa significa questo carisma oggi? Certo, da allora la missione è cambiata. Il dialogo interreligioso ne è un esempio: vivere in India coltivando rapporti con indù, buddhisti e musulmani è qualcosa che non avevamo mai fatto prima e ci aiuta a riflettere anche sull’evangelizzazione. Ma il nostro compito principale resta comunque lo stesso: rafforzare la Chiesa là dove è piccola. Evangelizzare insieme alle comunità locali. E lo facciamo cercando di rispondere ai loro bisogni: in alcuni contesti vuol dire aiutare la formazione del clero locale. Ma ce ne sono altri dove la Chiesa ancora oggi sta nascendo: penso, per esempio, alla diocesi di Port-Bergé in Madagascar, dove i cattolici sono una piccola minoranza e dove il vescovo è tuttora un nostro missionario».
Un ruolo, dunque, di servizio alle Chiese locali, più che portare avanti programmi propri: «Molti vescovi ci dicono: vi siamo grati perché venite per stare con noi, non per costruire qui la vostra casa – racconta padre Sénéchal -. Per noi questo è un volto fondamentale dello spirito missionario».
Una delle forme di questo servizio è anche l’accoglienza in Francia dei sacerdoti che dall’Asia vanno a studiare all’Istituto cattolico di Parigi, la più importante facoltà teologica francese. «Ne accogliamo stabilmente tra i 65 e i 70. Più di un terzo oggi sono vietnamiti, altri gruppi numerosi sono quelli degli indiani, coreani, indonesiani. Si fermano nella nostra comunità a Parigi alcuni anni».
Tra questi studenti vi sono anche alcuni sacerdoti provenienti dalla Cina continentale. «Cerchiamo di lavorare per l’unità della Chiesa in Cina – spiega il vicario generale delle Missions Etrangères de Paris, padre Étienne Frécon, missionario a Taiwan -. Sappiamo che ci sono ferite da sanare e che ci vorrà tanto tempo: cerchiamo di mantenere un equilibrio, di essere attenti alle sensibilità di tutti i cattolici in Cina, comprese le comunità sotterranee. Ma è importante il fatto che sacerdoti e vescovi delle “comunità ufficiali” possano uscire e avere contatti con le Chiese del resto del mondo. La missione in Cina è amicizia, essere fratelli, con gesti semplici: è un impegno diverso rispetto alle nostre presenze a Hong Kong o a Taiwan, ma è un modo concreto per sostenere queste comunità».
Le Missions Etrangères de Paris sono consapevoli che l’Asia stessa oggi è protagonista nella missione, anche in una terra come la Francia. «Queste Chiese locali ormai da tempo hanno cominciato ad aiutare. Personalmente vengo da una diocesi francese dove un nostro missionario morì martire in Corea nel XIX secolo. Ebbene, oggi proprio a Le Mans abbiamo sei preti coreani. Evangelizzare è anche questo», assicura padre Sénéchal. Come pure molto significativa è la parabola della Chiesa vietnamita: «Dalla sua fondazione a oggi – continua il superiore generale delle Mep – il nostro istituto ha avuto circa 4.300 missionari: di questi ben 1.200 hanno svolto il loro ministero proprio in Vietnam. Si tratta di una comunità che ha vissuto duramente la persecuzione, con sacerdoti uccisi o espulsi, tante ferite.
Oggi non abbiamo più missionari là, ma c’è una grande vitalità della Chiesa locale. I cattolici sono circa l’8% della popolazione e sono una presenza significativa: anche loro inviano missionari in tutto il mondo. Non si sono mai divisi, hanno camminato sempre insieme. Noi continuiamo a sostenerli nelle loro necessità, ma loro stessi sono creativi. Per esempio Ho Chi Minh City, l’ex Saigon, è una città che è cresciuta molto in questi anni. Così le comunità cattoliche locali si sono divise in gruppi per dare vita a nuove parrocchie: in ciascuna hanno inviato équipe missionarie composte da un prete e da alcuni laici. Appena possono aprono chiese, costruite con materiali molto semplici. Accompagnano i cambiamenti del Paese».
«Quando vado in Vietnam – aggiunge padre Sénéchal – resto sempre molto colpito da quanto i laici locali siano forti nella loro fede, nutrita anche da realtà come la Legio Mariae o il gruppo del Sacro Cuore. Mi colpisce anche quanto coltivino la memoria delle radici della propria Chiesa: quest’anno la conferenza episcopale ha deciso di avviare la causa di beatificazione dei primi due vescovi di Hanoi e Saigon, François Pallu (1626-1684) e Pierre Lambert de La Motte (1624-1679), due missionari del nostro istituto. L’ho trovato un gesto coraggioso: nonostante le ferite della storia, vogliono che questi due francesi diventino beati. Sono capaci di andare oltre le critiche di chi dice che il cristianesimo in Asia è la religione degli stranieri. Dicono: sono i nostri vescovi, questa è la Chiesa».
Il legame tuttora forte con le Chiese dell’Asia è un segno anche per la Francia di oggi: «A Parigi – commenta padre Etienne Frécon – il nostro compito è promuovere la missione ad gentes, condividendo l’esperienza che viviamo nel mondo. Abbiamo un programma di volontariato per i giovani, le attività di animazione vocazionale. C’è il museo nella nostra sede di rue du Bac, la Sala della memoria dei nostri martiri. Da qualche anno abbiamo dato vita anche a un istituto di ricerca sull’Asia, che lavora sul nostro archivio storico ma comprende anche una biblioteca con migliaia di libri sull’Asia e nelle lingue asiatiche, la fototeca, le mappe… Tutti materiali a disposizione degli studiosi. Il nostro obiettivo non è tanto avere molte attività a Parigi o in Francia, ma condividere la nostra esperienza vissuta sul campo in missione». In questo spirito si inserisce anche la proposta ai giovani francesi di vivere un periodo di volontariato in missione. «Sono esperienze che possono durare da pochi mesi a due anni interi – continua il vicario generale dell’istituto -. Non proponiamo un lavoro in un Paese in via di sviluppo, ma un modo per vivere la missione. Alcuni collaborano direttamente alle attività pastorali; altri operano in ostelli per ragazzi o negli slum. A volte nel loro servizio lavorano anche con altre congregazioni, compreso il Pime in alcuni Paesi».
In questo cammino non mancano, però, anche le fatiche e le sofferenze. Riguardo allo scandalo che da tempo ormai sta scuotendo la Chiesa francese sul tema degli abusi sessuali commessi da sacerdoti, anche alcuni missionari delle Mep sono stati chiamati in causa. «Già nel luglio dell’anno scorso abbiamo lanciato una verifica sui casi di accuse – risponde il superiore generale -. Un organismo esterno è stato incaricato di esaminare le nostre procedure di prevenzione degli abusi, per rafforzarle. Sì, ci sono stati articoli sulla stampa cattolica con accuse contro alcuni nostri confratelli: le indagini sono in corso, sia quelle dei tribunali civili sia quelle canoniche».
«Per noi è un momento doloroso, ma anche una grande lezione di umiltà – conclude padre Sénéchal -. Verità, giustizia e protezione sono la strada che vogliamo percorrere. Dobbiamo rafforzare le nostre procedure di prevenzione, prenderci cura delle persone che hanno avuto il coraggio di parlare e migliorare la formazione. Ma l’umiltà è il primo passo. E i legami con gli altri istituti missionari come il Pime, anche in momenti difficili, sono preziosi perché sono sempre occasioni di aiuto e riflessione».