Trenta immagini in bianco e nero per raccontare una storia alternativa all’odio e alla violenza. Resta aperta fino al primo maggio a Treviso una mostra che racconta la storia di Zijo Ribić, il primo rom che ha portato in tribunale la questione del genocidio subito dal suo popolo durante la guerra in Bosnia-Erzegovina.
Zijo Ribić è miracolosamente sopravvissuto alla strage della sua famiglia e di tutti gli abitanti di Skocić, piccolo villaggio della Bosnia orientale, avvenuta nel luglio 1992, ed è il primo rom che ha portato in tribunale la questione del genocidio subito dal suo popolo durante la guerra in Bosnia-Erzegovina. Ha appena aperto a Treviso una mostra che parte dalla sua storia per raccontare come è possibile ricominciare a vivere dopo un genocidio, chiedendo verità e giustizia senza abbandonarsi all’odio e alla vendetta: si intitola Io non odio/Ja ne mrzim. La storia di Zijo, è di Andrea Rizza Goldstein ed è visitabile con accesso libero fino al primo maggio allo spazio Bomben (via Cornarotta 7).
Organizzata dalla Fondazione Benetton Studi Ricerche con la collaborazione della Fondazione Alexander Langer Stiftung, vuole trasmettere un messaggio importante: quell’Io non odio che Zijo continua a ripetere: «non posso e non voglio dimenticare quello che è successo alla mia famiglia e al mio villaggio. Ma posso decidere di non odiare».
«La sua battaglia per la verità e per la giustizia, la sua attenzione a definire con precisione le responsabilità senza generalizzare e soprattutto la sua scelta di perdonare hanno aperto nuove prospettive nel difficile tentativo di dialogo e confronto con il passato – afferma Andrea Rizza Goldstein -. La sua storia e il suo messaggio hanno costruito dei ponti e hanno avuto la potenza, concreta, basata sulla tragedia vissuta, di dimostrare che è possibile non odiare».
Organizzata nel solco della campagna culturale del Premio Internazionale Carlo Scarpa per il Giardino 2014 conferito ai villaggi di Osmače e Brežani, Srebrenica, Bosnia-Erzegovina, la mostra è dedicata a Ismet, Ševka, Zlatija, Zijada, Suvada, Almasa, Ismeta, Zlata e Sabrija, i genitori, le sorelle e il fratello di Zijo; è accompagnata da un quaderno con una selezione delle fotografie e alcuni testi che, con la sua storia, affrontano il contesto della guerra in ex-Jugoslavia degli anni novanta e la questione delle “pulizie etniche” e dello slow motion genocide.
Nella strage a Skocić morirono 23 persone. «Ho perso tutto. Mia madre incinta di otto mesi, mio padre, sei sorelle e un fratellino di due anni – ha detto Zijo Ribić in una recente intervista (leggi qui).
Alla fine della guerra è tornato in Bosnia, all’età di 16 anni, vivendo in un orfanotrofio per poi intraprendere gli studi alberghieri, ultimati con uno stage a Rimini, dove ha imparato l’italiano. Oggi lavora come cuoco al Tuzla Hotel.
«Ogni volta che nella storia avviene un’esecuzione di massa, qualcuno resta sempre in vita… per testimoniare quanto accaduto» sostiene Zijo, scampato alla morte assieme a tre ragazze usate come serve dai cetnici. «Non odio quegli assassini, li ho perdonati. Voglio però siano riconosciute le responsabilità». Per questo dal 2009 è il teste principale in un processo nel ‘tribunale internazionale per i crimini di guerra nella ex Jugoslavia’, a Belgrado.