Lo sostiene il WWF in un rapporto uscito oggi. Entro il 2050, potrebbero essere milioni le persone dei paesi in via di sviluppo a non potersi permettere di consumare pesce.
Oggi il 61% delle esportazioni globali di pesce proviene dai paesi in via di sviluppo ed è esportato verso i paesi industrializzati, in primis quelli europei. Ma se dell’apporto proteico del pesce le popolazioni dei Paesi industrializzati potrebbero fare tranquillamente a meno, non è così per chi vive nei Paesi dalla quale la maggior parte del pescato proviene.
Entro il 2050, potrebbero essere milioni le persone dei paesi in via di sviluppo a non potersi permettere di consumare pesce, una risorsa che oggi rappresenta una base essenziale di cibo e proteine. A sostenerlo è il WWF, che oggi ha pubblicato i risultati di un rapporto che ha commissionato a un gruppo di ricercatori dell’Università di Kiel, dal titolo “Fishing for proteins – How marine fisheries impact on global food security up to 2050”, che analizza i possibili scenari economici ed ecologici legati alla pesca da qui al 2050. (qui la versione integrale)
Il report prevede che l’esportazione di pesce dai Paesi del Sud del mondo aumenterà sempre di più per soddisfare la richiesta dei mercati occidentali, ma che questo rischia di impoverire sempre di più i mari nei Paesi in via di sviluppo e di sottrarre un’importante risorsa alimentare a popolazioni che ne dipendono.
Per rendere più sostenibile il consumo di pesce bisognerebbe combattere innanzitutto la pesca illegale, scrivono i ricercatori che hanno redatto il report. «Dallo stato di conservazione degli stock ittici nei mari e negli oceani dipende il futuro di 800 milioni di persone che dipendono dalla pesca come risorsa essenziale di alimentazione e reddito» afferma Donatella Bianchi, Presidente del WWF Italia.
La pesca illegale (foto a sinistra, in Cina) non implica solo l’impoverimento dei mari ma anche pesanti violazioni dei diritti umani, come ha dimostrato una lunga inchiesta pubblicata dall’Associated Press sulla moderna schiavitù, nei confronti dei lavoratori immigrati da Birmania, Laos e Cambogia in Thailandia, che operano nel settore della pesca e lavorazione dei gamberetti. Di recente, al termine di un’indagine durata un anno, Greenpeace ha publicato un rapporto intitolato Turn the Tide (Invertire la rotta), in cui ha denunciato le gravi violazioni dei diritti umani dietro le pratiche di pesca distruttiva condotta in alto mare.
Un ruolo importante possono averlo anche in consumatori: Il WWF, per esempio, incoraggia a comprare prodotti ittici sostenibili secondo le indicazioni contenute nella Seafood Guide del WWF (disponibile al link: pescasostenibile.wwf.it) e considerare alcune specie di pesce un cibo da occasioni speciali privilegiando, per una sana alimentazione responsabile il pesce sostenibile.
Il Report pubblicato oggi dal WWF fa parte inoltre della campagna Fish Forward co-finanziata dall’Unione europea (www.fishforward.eu), che vuole sensibilizzare i consumatori degli 11 Paesi europei in cui è attiva sull’impatto ambientale, sociale ed economico del consumo di pesce in Europa, soprattutto sulla sopravvivenza e condizioni di lavoro delle comunità nei Paesi in via di sviluppo.