E in cantiere si parla egiziano
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Il boom di appalti e il bisogno di manodopera nel settore edile hanno fatto esplodere forme di caporalato che riguardano molti immigrati in particolare provenienti dall’Egitto. Ascolta questo articolo in PODCAST
Se i dati dall’agricoltura sono inquietanti, quelli dell’edilizia non lo sono da meno. Secondo i sindacati, infatti, sarebbero almeno 200 mila i lavoratori irregolari nel settore, mentre il rapporto Istat 2023 sull’economia sommersa parla di quasi 16 lavoratori su 100 in nero. Il fenomeno è esploso negli ultimi anni anche in seguito al boom di ristrutturazioni favorito dal Superbonus del 110% e altri incentivi. Che però hanno fatto anche la fortuna di sedicenti agenzie di reclutamento di personale (spesso straniero) di cui c’è un’enorme richiesta: agenzie che spesso nascondono nuove forme di caporalato. Oggi l’intermediazione illecita e lo sfruttamento passano attraverso nuove tecnologie, ma si approfittano di vecchie fragilità, in particolare di persone che magari non sono in regola con i documenti e sono costrette ad accettare condizioni lavorative inique e talvolta pericolose.
«Soprattutto in questi ultimi tre anni – spiega Alem Gracic, segretario generale di Filca Cisl Lombardia – abbiamo visto crescere in modo massiccio la presenza di giovani lavoratori egiziani che, specialmente sulla piazza milanese, rappresentano la grande maggioranza degli immigrati che lavorano nei cantieri. Attualmente su 10 neoassunti, 9 non sono nati in Italia; e 7 su 10 sono egiziani».
Molti sono arrivati nel nostro Paese dopo mesi di viaggio lungo la rotta balcanica o attraverso il Mar Mediterraneo. Non parlano l’italiano e dipendono da “mediatori” che sono veri e propri caporali. «A volte i lavoratori neppure si rendono conto di essere sfruttati e non sanno che i loro diritti vengono violati. Non conoscono bene la lingua e tanto meno regole e legislazioni. Si affidano a persone che hanno un ruolo ambiguo, perché, da lato, offrono loro un lavoro, dall’altro chiedono in cambio una sorta di “pizzo”, che può arrivare anche a 700-800 euro al mese». Questo significa che in grandi cantieri, dove lavorano anche 200 o 300 persone, c’è un giro di soldi – e dunque di interessi – enorme, che vede implicato non solo il caporalato etnico, ma anche la criminalità organizzata italiana.
Anche in edilizia il lavoro “grigio” è molto diffuso. Lo sfruttamento passa soprattutto attraverso contratti part time o alias: ovvero con una piccola parte di ore regolarmente retribuite o, nel caso di persone senza documenti, attraverso contratti a nome di qualcuno che è in regola. «Ci sono lavoratori che è come se facessero due o tre lavori. Ma le aziende non lo sanno necessariamente. Così come c’è tutto un mercato di documenti falsi. È difficile entrare in un cantiere senza documenti o lavorare in nero per tutta una serie di obblighi legislativi e di congruità dei contratti. Ma è frequente che ci siano persone con documenti che non sono i loro».
«Altro aspetto molto presente è il sotto inquadramento – continua Gracic -. Quasi l’80% di coloro che lavorano nell’edilizia sono inquadrati nei primi due livelli, ovvero quelli di manovali o di operai comuni. Il meccanismo dei subappalti favorisce questo sistema. Oggi il subappalto non si arresta al primo livello, ma arriva al secondo o al terzo, con aziende che sono diventate sostanzialmente mere fornitrici di manodopera e operano come delle specie di agenzie interinali. Una questione molto sensibile è il fatto che per aprire un’impresa edile non c’è bisogno di quasi nulla. E così c’è chi se ne approfitta, magari certificando il falso su competenze, patentini, ecc.».
Tutto ciò ha ripercussioni anche sulla sicurezza. «Se da un lato non constatiamo un aumento degli incidenti gravi o mortali sui cantieri – analizza il sindacalista – dall’altro è molto probabile che il numero di incidenti lievi siano in aumento. Molti lavoratori, specialmente se giovani o stranieri, non conoscono adeguatamente e dunque non rispettano le misure di sicurezza. Quelli più anziani, invece, rischiano di infortunarsi a causa dei ritmi estenuanti imposti nei cantieri, che aumentano i rischi per le persone».
Anche in questo settore, un tema fondamentale è quello della prevenzione. «Noi, come sindacato, cerchiamo di farla innanzitutto attraverso l’informazione e l’assistenza quando i lavoratori chiedono il nostro aiuto. Ma questo succede quasi sempre solo quando accade qualcosa di grave e si rompe il patto tra lavoratore e caporale. Altrimenti è difficile entrare in queste comunità non solo per una questione di lingua, ma anche perché non si fidano o perché sono vincolati da legami con i loro connazionali qui e con la famiglia nel Paese di origine. Occorre intervenire con molta attenzione per fare davvero il bene del lavoratore».
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