Nuove forme di caporalato colpiscono la filiera produttiva dove circa 230 mila persone, in gran parte immigrati, lavorano in maniera irregolare. Il VI Rapporto di Flai-Cgil “Agromafie e caporalato” denuncia, da Nord a Sud, la «compresenza di lavoro sfruttato e gravemente sfruttato”. Nel 2020 il complesso dell’economia sommersa valeva 157,4 miliardi
È stato presentato nei giorni scorsi il VI Rapporto Flai-Cgil “Agromafie e Caporalato” realizzato dall’Osservatorio Placido Rizzotto: un’indagine sull’intreccio tra la filiera produttiva agroalimentare e la criminalità organizzata, con un’attenzione particolare al fenomeno del caporalato, che riguarda anche moltissimi migranti sia regolari che irregolari.
Secondo i dati raccolti, nel 2021, gli impiegati irregolari nel settore agricolo sono stati circa 230 mila, cioè più di un quarto del totale degli occupati nel settore. Tra di loro la componente femminile irregolare è pari a circa 55 mila unità: una realtà numericamente consistente e doppiamente vulnerabile, visto che spesso è vittima anche di molestie o vere e proprie violenze sessuali. Di rilievo è anche la distribuzione geografica del fenomeno: infatti, questo non è radicato solamente in Puglia, Sicilia, Campania, Calabria e Lazio – che presentano tassi di irregolarità superiori al 40% – ma anche nelle regioni del Centro Nord dove i tassi sono compresi tra il 20% e il 30%.
Nella categoria di lavoratori coinvolti rientrano principalmente, escludendo gli stranieri non residenti, coloro che dispongono di un reddito familiare annuo inferiore alla metà del reddito medio (pari a 8.300 euro) e che in Italia ammontano complessivamente a 8.6 milioni di persone. «Si riscontra la tendenza a generare “lavoro povero” ove prevalgono individui, che pur avendo lavorato, mostrano redditi personali e familiari decisamente al di sotto dei valori medi», indica infatti una nota del rapporto.
Elemento che dimostra ulteriormente la vulnerabilità dell’occupazione dei lavoratori nel settore primario è il numero di inchieste avviate per sfruttamento lavorativo nel periodo 2017-2021: oltre il 48% relative al solo settore agricolo e se tra il 2017 e il 2018 queste sono state avviate principalmente dalle procure dell’Italia meridionale, dal 2019 al 2021 si vede un leggero cambiamento che coinvolge maggiormente quelle del Nord.
«L’appalto ed il sub-appalto illecito, orchestrati da colletti bianchi senza scrupoli, con pseudo imprese, spesso false cooperative, ma anche Srl farlocche quasi sempre intestate a prestanomi, rappresentano l’evoluzione dell’intermediazione illecita di manodopera, che può essere definita “nuovo caporalato” o “caporalato industriale”», spiega la nota.
Il rapporto comprende anche casi studio territoriali svolti tramite indagini sul campo nelle province di Pordenone, Treviso, Cosenza e Ragusa: «Lo studio empirico dei casi ci conferma, in tutte le realtà osservate, da Nord a Sud, lo squilibrio profondo tra il valore aggiunto prodotto dall’economia agricola territoriale e la compresenza di lavoro sfruttato e gravemente sfruttato». Infatti, questi distretti agricoli, se da un lato sono produttori di eccellenza, dall’altro registrano casi di sfruttamento del lavoro che prende forma in contratti di lavoro irregolari: «Gli operai coinvolti non sono dichiarati in ingresso, ma spesso mascherati con un contratto di lavoro apparentemente conforme agli standard previsti e che nella sostanza non vengono per nulla rispettati. Ciò accade perché, al di là di quanto prevede il contratto, si impongono, e non di rado si estorcono, accordi verbali con condizionalità differenti, soprattutto rispetto al salario e alla durata del tempo di lavoro».
Ad emergere dagli studi condotti sono anche i nuovi meccanismi di sfruttamento del lavoro che «si dipanano lungo tutta la filiera di produzione, coinvolgendo l’intera filiera agricola. Scopriamo pertanto che pezzi o interi settori di produzione vengono “delegati” ai caporali, attraverso la creazione di cooperative spurie e l’apertura di finte partite Iva, strumenti attraverso i quali i caporali, a loro volta, “subappaltano” pezzi di produzione, irrimediabilmente incardinata sullo sfruttamento e l’intermediazione illecita di manodopera. Appare pertanto chiaro che lo sfruttamento lavorativo e il caporalato viene perpetrato attraverso nuovi e più complessi meccanismi che vedono il coinvolgimento di attori qualificati (i cosiddetti “colletti bianchi”) ed in generale figure in grado di mascherare l’illegalità attraverso un “gioco di scatole cinesi”, che rende ancor più complicata la prevenzione, l’individuazione e la conseguente repressione del fenomeno».