È anche in video il convegno che si è tenuto nella Giornata mondiale contro la tratta dell’8 febbraio. Un’occasione per approfondire il fenomeno nel nostro Paese e per ascoltare la testimonianza di chi, come Blessing Okoedion, ha vissuto la schiavitù sulla sua pelle
«Non hai vergogna o paura? I tuoi genitori sanno che la tua storia è stata raccontata in un libro? E se un giorno avrai dei figli?». Sono domande che Blessing Okoedion – giovane donna nigeriana sopravvissuta alla tratta e testimone della lotta contro la schiavitù sessuale e (non solo) – si è sentita porgere molte volte. Spesso altre donne che hanno subìto come lei l’inganno e la privazione della libertà per essere ridotte a schiave sessuali. Donne che faticano a trovare il suo stesso coraggio di liberarsi, denunciare e testimoniare, mettendoci la faccia e mettendosi a rischio. Dire al mondo che sono state vittime della tratta e dello sfruttamento sessuale è difficile e pericoloso. Ma il silenzio di troppi – anche di chi dovrebbe contrastare il fenomeno o degli stessi mezzi di comunicazione. continua a favorire lo sfruttamento e i guadagni delle reti criminali.
La stigmatizzazione sociale, poi, è un’altra gabbia che impedisce alle vittime di riconquistare pienamente libertà e dignità. È uno dei temi che Blessing – oggi presidente di “Weavers of Hope” (“Tessitrici di speranza”), un’associazione che aiuta donne finite nell’inferno della tratta – ha affrontato nel corso del convegno dal titolo: “La strada verso la libertà – dalla schiavitù della tratta ai percorsi di protezione e autonomia”. L’iniziativa è stata promossa dal Centro Pime di Milano e Caritas ambrosiana, in collaborazione con Ucsi Lombardia, in occasione della 10 decima Giornata contro la tratta dell’8 febbraio.
Sono passati dieci anni, infatti, da Papa Francesco ha promosso questa Giornata. E, sin dall’inizio, il anche a Milano sono state promosse diverse iniziative per approfondire un argomento spesso “invisibile”: «Ma lo è solo per chi non vuole vedere: dalle istituzioni ai cittadini sino ai media che non ne parlano», hanno sottolineato Anna Pozzi, giornalista di Mondo e Missione, e Paolo Rappellino dell’Associazione dei giornalisti cattolici. Un’indifferenza che non però non è la norma: «I nostri missionari – ha fatto presente Gianni Criveller, direttore del Centro Pime – sono spesso impegnati in contesti in cui i “nuovi schiavi” vengono sfruttati o da cui provengono molti di quelli che finiscono nelle reti dei trafficanti e degli sfruttatori in Italia. Per questo motivo, nei Paesi di origine operiamo con iniziative di carattere educativo innanzitutto per la prevenzione; mentre qui, in Italia, promuoviamo attività di sensibilizzazione come questa».
Il fenomeno che coinvolge, secondo i dati del Global Index sulla schiavitù 2023, circa 50 milioni di persone nel mondo: uomini, donne e bambini. Donne e bambini rappresentano il 70 per cento di coloro che vengono sfruttati principalmente per la prostituzione coatta e il lavoro forzato. Il numero dei minori, in particolare, è triplicato negli ultimi 15 anni. Un mercato redditizio in cui le mafie speculano e si arricchiscono. «Se non siamo disposti a cambiare questa nostra fissazione del denaro, ci soffochiamo da soli». A parlare è Sergio Nazzaro, giornalista e autore del libro “Mafia nigeriana: la prima inchiesta della Squadra anti tratta”, che insiste: «Se continuiamo a costruire la società solo sul denaro, le donne diventano un’altra merce. D’altro canto, non è giusto criminalizzare la povertà e disinteressarsene».
In effetti, come ha affermato la professoressa Paola Degani, docente di Women’s Human Rights all’Università di Padova, «rischiano di ritrovarsi in condizioni di sfruttamento gravissimo molte persone – soprattutto extra-europee – che sono partite dai loro Paesi per cercare di migliorare le loro condizioni di vita, ma che finiscono nelle mani delle reti criminali, che impongono loro un “debito” enorme di cui non hanno la percezione».
In questi ultimi anni – come conseguenza della pandemia Covid-19 e della diminuzione degli sbarchi di uomini e donne nigeriani – il fenomeno è significativamente cambiato. Come ha sottolineato anche il direttore di Caritas ambrosiana Luciano Gualzetti: «I nostri operatori e i nostri servizi hanno osservato una sorta di “inabissamento” del fenomeno dello sfruttamento sessuale dalla strada all’indoor e al web. Questo ha reso le vittime più “invisibili” e irraggiungibili. Lavorare per la dignità e la liberazione di questi nuovi schiavi e schiave è sempre più difficile».
Farsi Prossimo, cooperativa sociale della Caritas Ambrosiana, è parte attiva del Progetto anti tratta “Derive e Approdi”. Un progetto che mira all’autonomia delle sopravvissute e al reinserimento sociale. Marta Faggioli, responsabile Area diritti e pari opportunità di Farsi Prossimo, spiega quali sono le azioni di primo contatto dell’unità strada e lo fa con dei verbi: «Andare, conoscere, stare, sostenere, accompagnare, permettere e lottare. Le operatrici, la sera, la notte o anche il giorno, percorrono le arterie di Milano e dintorni per incontrare le persone costrette a prostituirsi perché vittime di tratta. Raggiungono quindi i luoghi di sfruttamento, incontrano soprattutto donne e persone transessuali, instaurano relazioni di fiducia e consentono alle vittime di aprirsi e cercare sostegno. E così le aiutano a comprendere che hanno dei diritti». Un lavoro importantissimo: le persone vittime di tratta iniziano a capire che quello in cui sono finite non è un percorso senza via d’uscita e possono immaginare una vita migliore.
Uno squarcio di quella vita migliore lo dona Luca Meola, fotografo e autore del percorso visuale «Derive e approdi», che documenta appunto il progetto “Derive e Approdi”. Un percorso fotografico che inizia a raccontare la notte – con lo sfruttamento, la prostituzione, ma anche il lavoro dei rider, il freddo e l’attesa – per poi arrivare al giorno: la tranquillità, il poter scegliere la propia vita, la propria casa, l’abbigliamento da usare… Piccole cose che fanno parte di una vita libera e riempiono la speranza di un futuro migliore. (Francesca Arcai)