Le conclusioni del China Tribunal, organismo che a Londra ha ascoltato testimoni ed esaminato documenti. Nel mirino della pratica che il governo ufficialmente dichiara di aver abbandonato nel 2015 ci sarebbero ancora detenuti e pazienti di ospedali psichiatrici
“Non ci sono prove che la pratica si sia fermata e la corte è certa che questa continui”. “Le conclusioni mostrano che tantissime persone hanno subito morti terribili per nessun ragione, che molti di più potrebbero soffrire in modo simile e che tutti noi viviamo su un pianeta dove una estrema malvagità si può ritrovare nel potere di coloro che attualmente governano un Paese culla di una delle più antiche civiltà note all’uomo moderno”.
È la denuncia durissima rivolta alla Repubblica popolare cinese da Sir Geoffrey Nice, presidente del China Tribunal con base a Londra. Un’iniziativa indipendente impegnata a far luce sugli espianti forzati di organi dai dissidenti in Cina. Nel suo recente rapporto alla fine di ampie indagini con ampia partecipazione e testimonianze dirette, il China Tribunal ha individuato come prime vittime esponenti e sostenitori del movimento Falung Gong, da anni nel mirino per l’atteggiamento insofferente verso il controllo dello Stato e del Partito comunista e per questo perseguitato in patria e in buona parte esule all’estero. La sua “sfida” al potere cinese portata con una protesta silenziosa in Piazza Tienanmen vent’anni fa è costata l’arresto e l’incarcerazione a migliaia di individui. Rendendoli così potenzialmente vittime di una pratica – quella degli espianti e della vendita di organi di carcerati a qualunque titolo – che lo stesso governo cinese ammette essere stata attiva un tempo ma solo per chi moriva in stato di detenzione. E che sarebbe stata comunque poi sospesa definitivamente nel 2015.
Questa narrazione sembra collidere con i tempi d’attesa ritenuti eccessivamente brevi per alcune tipologie di trapianto negli ospedali cinesi, come riportato anche dal quotidiano britannico The Guardian. D’altra parte, le autorità cinesi hanno sempre sostenuto l’adesione del Paese agli standard medici internazionali che richiedono il consenso del donatore a ogni espianto e senza alcuna retribuzione, anche se da molte parti è stato accertato che la pratica era tra quelle imposte nei laogai, i “campi di riforma attraverso il lavoro”, aperti dal 1950 e formalmente aboliti solo quattro anni fa. Una realtà ampiamente investigata dalla Laogai Research Foundation avviata negli Usa dal cattolico Harry Wu, dissidente storico, detenuto per lunghi periodi e deceduto nel 2016.
Lo scorso 17 giugno, alla chiusura di dodici mesi di lavori, Sir Nice, che in precedenza ha condotto l’accusa contro l’ex leader serbo Slobodan Milosevic, ha sottolineato i risultati della corte formata da quattro avvocati, un noto uomo d’affari, un accademico e un chirurgo d’esperienza, nessuno dei quali aveva mai prima trattato questo tema o partecipato a iniziative sui dritti umani in Cina e nemmeno avuto alcun interesse aperto per la problematica dell’espianto forzato. Tuttavia, dopo molte ore di ascolto dei testimoni, di visione di testi di varia provenienza, i sette hanno deliberato che l’espianto di organi si è protratto per almeno un ventennio e prosegue ancora oggi. Una situazione che per il tribunale equivale senza alcun dubbio a un crimine contro l’umanità.
«Il traffico di organi è spesso ignorato dagli osservatori ma questo crimine vergognoso richiede maggiore attenzione perché ci colpisce tutti», ha commentato il portavoce della Human Trafficking Foundation ripreso dall’agenzia UcaNews. Ci sono dubbi che la pratica persista anche in altri ambiti, dalle carceri ai centri di riforma psichiatrica, ma anche nei centri di “rieducazione professionale” aperti nello Xinjiang e che secondo diverse fonti ospitano loro malgrado fino a un milione di musulmani uighuri e di altre etnie. Tra i testimoni del tribunale, le cui esperienze sono in parte riportate nel rapporto diffuso a giugno, anche ex prigionieri di etnia uighura hanno riferito di frequenti test clinici per valutarne l’idoneità all’espianto.